Questo libro (“Rap: una storia italiana”, Paola Zukar, 279 pg., Baldini&Castoldi, 16,00 euro) nasce dall’urgenza dell’autrice di spiegare la situazione del rap in Italia, lei che, grazie alla sua squadra coesa, è la più grande produttrice discografica nel campo in Italia, a partire dal 2006, col lancio di “Tradimento” di Fabri Fibra.
Il panorama del libro spazia dal suo percorso personale, a quello degli artisti con cui ha lavorato, a una situazione generale italiana.
Inizia spiegando la nascita della sua passione, il momento toccante in cui sentì la prima canzone rap in televisione a 12 anni. Vale la pena di prendere il libro solo per leggere questo poetico “rapimento” che le orientò tutto il suo futuro.
In Italia non c’era negli anni ’80 una scena hip hop e Paola spiega le ragioni, scavando le problematiche del nostro paese nei riguardi delle sottoculture e facendo un parallelo con la situazione americana. Lei l’ha conosciuta bene durante numerosi viaggi e lavorando per la rivista hip hop Aelle. Sviscerare questi problemi fa capire a chiunque, anche ai non appassionati di hip hop, il male che gravita nel nostro Paese, un conservatorismo becero e ipocrita.
Il rap non viene accolto dalle grandi industrie discografiche in Italia, se succede viene distorto in forme “innocenti” e gioviali, retaggio della canzone d’amore. In USA hanno avuto Jim Morrison, Dylan, Springsteen, in Italia abbiamo avuto Mina e Celentano negli stessi anni. Lì erano preparati a portare un fenomeno di cultura alternativa al successo mainstream senza snaturarlo. Da noi si cerca di tappare ogni forma di musica ribelle. Anche per queste pessime scelte delle grandi industrie discografiche, ma anche per lo stesso senso di conservatorismo italiano, la sottocultura in Italia tende a ghettizzarsi e i loro fan a valutare come scadente qualsiasi cosa che vada sul grande schermo.
La sfida della Zukar, con Fabri Fibra, Marracash, Clementino e la sua squadra della Big Picture Management, è stata quella di lanciare artisti della sottocultura nel mondo mainstream, senza snaturarli. Questa seconda fase del rap italiano, dopo la fase underground (per capirci, Sangue Misto, Teste Mobili, le varie Posse dei centri sociali ecc.), è quella che porta il rap scomodo, eversivo, che narra di realtà difficili, al grande pubblico. Questo libro racconta questa avventura. E le conseguenze: la terza fase, quella del teenage-rap (per capirci, Fedez e Rovazzi). Tutti vogliono fare rap, le case discografiche ci vogliono investire. Si perde in qualità e si applica la formula del rap scanzonato, mischiato col genere dominante, il pop. È l’ambizione del successo fine a sé stessa.
Ma lo spiega meglio la Zukar. Le tematiche del libro sono infatti scritte in modo chiaro e appassionato. Riflessioni maturate sul campo per decenni e quindi sembra davvero un paiolo con pepite d’oro per cui dobbiamo ringraziare. È evidente che Paola vuole spiegare una realtà che è o per nulla o in modo distorto chiacchierata dai media.
Tratta di numerosissimi punti: l’hip hop come forma di dibattito e comunicazione con la società, la “sindrome di fine millennio”, l’evoluzione delle tecnologie, la censura, i media, Sanremo, la SIAE e tanto altro, in modo appassionato e mai pedante, saltando da un punto all’altro a seconda del suo flusso di coscienza. Sembrano collegamenti spontanei, come se avesse da tempo tutta questa mole di riflessioni da buttare fuori. È molto viscerale, e allo stesso tempo potrebbe essere un ottimo manuale di sociologia. C’è tutta la sua impronta personale e ti fa subito ammirare questa donna. È un ottimo modello di donna al lavoro, mi viene in mente la sicurezza e il fascino di Palma Bucarelli, ex direttrice della GNAM di Roma, che prese decisioni anticonformiste nel campo dell’arte contemporanea.
Quella di oggi è una realtà difficile, bombardata di musica e informazioni, e per questo spesso si perdono punti di riferimento autorevoli. Questo libro cerca di recuperare alcuni punti fondamentali che dovrebbero ricordarsi tutti, da chi ascolta a chi produce musica.
Molto bella anche l’idea di inserire frammenti di brani rap all’inizio di ogni paragrafo, viene fuori una playlist d’alto spessore. Spunti per approfondire in modo serio. Punto di riferimento autorevole.
Speriamo che i giovani cerchino sempre figure credibili da cui imparare ad apprezzare la musica, e non si accontentino delle prime cose che trovano in rete. La passione si alimenta anche con la fatica per cercare il meglio e il denaro speso per supportare gli artisti.
Speriamo anche che il rap italiano non si vergogni di essere sincero, profondo, arrabbiato, comunicativo e si elevi a forma d’arte. Speriamo che i media e le case discografiche promuovano e investano su questo tipo di rap. Sull’arte. Speriamo che la musica venga ascoltata con dei valori in più che un semplice godimento evasivo momentaneo. Le canzonette e le filastrocche in rima le possiamo lasciare tranquillamente ai bambini senza perderci nulla.
Speriamo di prenderci sul serio.
(Silvia Vites)