L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha approntato un regalo di lusso per chi ama la musica: due concerti fuori abbonamento, uno ‘di gala’, diretti da Antonio Pannano con una star della lirica in ciascun concerto, e l’uscita di un libro (pubblicato da Zecchini Editore) che tutti i ‘santa ceciliani ’ – coloro che, abbonati o meno, affollano il Parco della Musica di Roma quattro sere la settimana



I due eccezionali appuntamenti concertistici (20 e 22 dicembre) per gli appassionati di lirica e non solo, presentano due dei tenori che attualmente trionfano sui palcoscenici di tutto il mondo: giovani, aitanti ma soprattutto bravissimi, Juan Diego Flórez e Jonas Kaufmann delizieranno i melomani in due serate  in cui canteranno accompagnati dall’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il primo è dedicato al bel canto di fine Settecento e metà Ottocento (da Mozart a Cimarosa, Rossini, Donizetti fino al padre dell’operetta Jacques Offenbach), il recital del peruviano Juan Diego Flórez. Tenore di agilità, specialista di quei virtuosismi vocali che abbelliscono la melodia con fioriture e variazioni – Flórez è presente nei templi della musica lirica, dalla Scala al Covent Garden, dall’Opéra di Parigi al Metropolitan di New York. Il concerto ceciliano sarà un’antologia di alcune delle più belle arie del repertorio operistico come l’aria di Tamino “Dies Bildnis ist bezaubernd schön” dal Flauto magico di Mozart e Che ascolto? ahimè… Ah, come mai non senti” dall’Otello di Rossini per poi passare alla struggente Ô Dieu, de quelle ivresse” da Les contes d’Hoffmann: di Offenbach o alla commovente “Che gelida manina” da La Bohème di Giacomo Puccini – alternate a interventi del Coro di Santa Cecilia che canterà  tra gli altri “Va pensiero” dal Nabucco di Verdi.



Nel secondo concerto Jonas Kaufmann canterà alcuni lieder di Strauss interpretando – per la prima volta – gli ultimi quattro, Vier letzte Lieder, tratti da scritti del poeta romantico Joseph von Eichendorff e da poesie di Hermann Hesse che ispirarono a Strauss la sublime ultima riflessione in musica sulla caducità dell’esistenza umana e costituiscono un commosso addio alla vita. I Vier letzte Lieder sono stati composti per voce di soprano; è la prima volta – credo – che vengono cantati da un tenore. Il concerto vedrà l’esecuzione di altre tra le più belle pagine di Strauss: dal poema sinfonico Till Eulenspiegel, al valzer dall’opera Der Rosenkavalier. Star internazionale del repertorio operistico, Kaufmann è noto al pubblico ceciliano che ha avuto modo di apprezzarlo in diverse occasioni, ultime tra le quali l’Aida, diretta da Antonio Pappano nel 2015 (incisa per Warner Classics) e l’album – sempre insieme all’Orchestra di Santa Cecilia – interamente dedicato a Puccini.



Il libro è una novità assoluta: è la Storia del Conservatorio di Musica Santa Cecilia di Roma di Domenico Carboni, bibliotecario dal 1976 (850 pp. € 49). Non è la prima volta che viene scritta la storia dell’Accademia e del Conservatorio. Tra la fine dell’Ottocento e la seconda guerra mondiale sono apparse varie monografie (spesso poco più che opuscoli). Nel 1970, è stata pubblicata, edito dall’Accademia e stampato presso le officine di Mondadori a Verona, una monumentale Quattro secoli di storia dell’Accademia di Santa Cecilia di Remo Giazotto, in due volumi di oltre mille pagine. Il certosino lavoro di Giazotto non solo è ormai datato ma riguarda l’Accademia e non, nello specifico, il Conservatorio, Inoltre, non si presta a facile lettura,

Il libro di Carboni ha invece una veste elegante, si legge con facilità,  e tratta del Conservatorio che a Roma poté nascere solo dopo la breccia di Porta Pia. I primi capitoli riassumono il percorso delle scuole musicali a Roma verso il Liceo, finalmente istituito nel 1877 ed infine la costituzione del Conservatorio negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale. Successivamente, i capitoli sono dedicati alle ‘ere’ dei vari direttori, ciascuno dei quali ha dato una propria impronta all’istituzione. Un aspetto importante che si percepisce dalla lettura del volume è come il Conservatorio ‘Santa Cecilia’ sia sempre stato una fucina di innovazione che da Roma ha ‘contagiato’ il resto d’Italia. Ciò smentisce il luogo comune secondo il quale l’Accademia Nazionale ed il Conservatorio siano tradizionalisti plasmati per un pubblico conservatore.