È in arrivo, per l’inaugurazione della stagione lirica del Teatro Massimo di Palermo, il Guillaume Tell di Rossini nella produzione con regia di Damiano Michieletto che due anni fa, quando debuttò a Londra, suscitò notevoli polemiche: fischi in sala, stroncature feroci sulla stampa, particolarmente dura quella sul compassato The Guardian. Partitura di grandi proporzioni, il Guillaume Tell arriva per la prima volta a Palermo in lingua francese; con questo titolo il Teatro Massimo celebra i 150 anni dalla morte di Rossini. A dirigerlo è chiamato il Direttore musicale della Fondazione Lirica, Gabriele Ferro. Protagonisti sul palco sono il baritono Roberto Frontali nel ruolo del protagonista, il tenore Dmitry Korchak nella difficile parte di Arnold, il soprano Nino Machaidze nel ruolo di Mathilde, e ancora Anna Maria Sarra nei panni di Jemmy ed Enkelejda Shkoza in quelli di Hedwige. Al fianco di Damiano Michieletto sono impegnati lo scenografo Paolo Fantin, la costumista Carla Teti e il Light designer Alessandro Carletti.



Sarà soprattutto un’occasione per vedere se il pubblico palermitano è più flemmatico di quello britannico, che si è inalberato non tanto perché l’azione è stata portata nel Novecento (gli asburgici vestono camicie grigie naziste), ma per scene di sesso esplicito, tra cui al terzo atto uno stupro di massa di donne svizzere da parte di milizie asburgico-nazista. Non ho visto lo spettacolo; ne riferirò dopo il debutto.



Non si può pensare che abbia qualcosa di personale nei confronti del “teatro di regia”, e in particolare quello di Michieletto. Ho appena lodato su queste colonne la sua intelligente regia de La Damnation de Faust a Roma e credo di essere stato uno dei critici che lo segnalò, quando era in gran misura sconosciuto e operava principalmente in teatri di provincia, grazie alla sua regia di un Barbiere di Siviglia (scena quasi nuda, unica attrezzeria un trenino e palloncini per bambini, poco budget e tanto cervello) al Teatro Pergolesi di Jesi. I lettori di questa testata forse ricorderanno che ho lodato il suo A Greek Passion a Palermo, che meritava di essere ripreso da altri teatri, e altri lavori come La Gazza Ladra, La Scala di Seta, La Donna del Lago al Rossini Opera Festival (ROF) di Pesaro, Roméo et Juliette (Verona) e Acquagranda (Venezia), mentre ho trovato noiose e fuori luogo quelle di Sigismondo (Pesaro) e de Il Viaggio a Reims (Roma); polverosa e banale quella de La Bohème a Salisburgo.



Michieletto è tra i maggiori esponenti italiani del “teatro di regia” nato in Germania in cui il regista spesso attualizza la vicenda e la prende come spunto per un lavoro che è o sembra differente da come è stata concepito da librettista e compositore. Il regista ha preso il posto, nella concezione complessiva dello spettacolo, che nella prima metà del Novecento aveva il maestro concertatore e direttore d’orchestra e, prima di allora, i cantanti, divi e beniamini del pubblico. Non mancano giovani registi ancorati alla tradizione: uno particolarmente apprezzabile e apprezzato è Lorenzo Amato (di cui si vedrà presto una Traviata al Teatro San Carlo di Napoli). Tuttavia, la tendenza generale , un po’ tardiva, è quella di andare verso il “teatro di regia”.

Sulla stampa, neanche su quella specializzata, si è mai discusso seriamente su quali debbano essere i limiti del “teatro di regia” rispetto alla concezione iniziale di librettista e compositore. Ne tratta solo il mensile Musica. A mio avviso, la fantasia del regista deve restare fedele allo spirito del lavoro iniziale ed evitare di intralciare la partitura. È ciò che fa ad esempio Denis Krief, il quale, per esiliatosi a Berlino, lavora con successo in Italia (ma non è mai invitato dalla Scala e raramente dal Teatro dell’Opera). Ricordo un A Midsummer Night Dream e una Russalka al Teatro dell’Opera nonché una Maria Stuarda alla Fenice che attualizzano la vicenda, richiedevano un budget da tempi duri e affascinavano il pubblico; tra qualche settimana potremo vedere, a Cagliari, come concepirà la Turandot di Busoni , non di Puccini.

Infine, una notazione: il sesso in scena (e in particolare i nudi maschili di cui sono specialista un regista latino-americano e uno britannico che operano nei nostri teatri più che in quelli dei loro Paesi) non scioccano più nessuno. Anzi annoiano.