Sta per iniziare il 2018, anno rossiniano in cui si celebrano i 150 dalla morte del compositore. Rossini morì, nella sua villa di Passy, presso Parigi, dopo aver lungamente combattuto contro un cancro al retto, inutilmente arginato da due operazioni (che causarono, tra l’altro, una devastante infezione) il 13 novembre 1868, poco prima del suo settantasettesimo compleanno. Le sue spoglie furono tumulate nel cimitero parigino del Père Lachaise, per essere poi traslate in Italia nel 1887 nove anni dopo la morte della moglie, su iniziativa del governo italiano, e riposano definitivamente nella Basilica di Santa Croce a Firenze.



La bibliografia su Gioacchino Rossini è immensa, anche e soprattutto grazie, negli ultimi trentasette anni, all’attività della Fondazione Rossini e del Rossini Opera Festival (ROF). Numerosissime le biografie. Un suo biografo, ad esempio, fu il suo contemporaneo, Stendhal, il quale assistette a rappresentazioni di numerose sue opere (anche prime esecuzioni assolute) ed era affascinato dalla sua musica. In tempi più recenti, ma prima della Seconda guerra mondiale e quando poche opere di Rossini erano rimaste in repertorio, Giuseppe Radiciotti pubblicò un lavoro monumentale in tre volumi sul compositore. Durante la Seconda guerra mondiale, per i tipi della U.T.E.T. e nella collana I Grandi Italiani diretta da Luigi Federzoni, fu uno dei maggiori romanzieri e drammaturghi dell’epoca, Riccardo Bacchelli, a narrare la vita di Rossini. In tempi più recenti c’è stata una ricca fioritura americana sulle orme di Philip Gossett e della sua scuola. 



Svela lati nuovi il volume del 2009 Rossini, l’uomo, la musica di Giovanni Carli Ballola. Fondamentali, i due volumi di Sergio Ragni Isabella Colbran – Isabella Rossini che riguardano unicamente un aspetto della vita del compositore (la sua relazione con Isabella Colbran, che divenne la sua prima moglie), ma includono un vastissimo materiale d’archivio, altrimenti di difficile reperimento (epistolari, articoli di giornale), che aiuta a comprendere “l’uomo” Rossini. 

Rossini era nato nel 1792 quando in Francia la rivoluzione era già in atto (anzi si stava avvicinando Termidoro e la fine del Terrore) e morì nel 1868 (decenni prima dei colpi di pistola a Sarajevo), ma quando già si stava entrando nella fase dell’industrializzazione trionfante, stava nascendo la prima globalizzazione (1870-1910), si stavano completando le unificazioni nazionali di Germania e Italia, e due Imperi multinazionali (quello ottomano e la duplice monarchia austro-ungarica) stavano scricchiolando.



Il Rossini Opera Festival (ROF) è una vera eccezione nel mondo culturale italiano: non solo perché, lavorando d’intesa con la Fondazione Rossini, ha riscoperto tante opere dimenticate (quasi tutte le opere serie e semiserie), nonché alcuni capolavori considerati perduti (come Il viaggio a Reims), ma in quanto “rende” all’Italia sotto il profilo economico ed è un ottimo esempio di collaborazione fra pubblico e privato. Non ha mai chiuso un bilancio in passivo e ha dato un contributo importante alla comunità territoriale in quel lembo che tocca Marche e Romagna e all’Italia, pur essendo nato come una piccola iniziativa finanziata principalmente da enti e imprese a livello locale.

Gli effetti economici del ROF sulle attività produttive del litorale adriatico negli anni di recessione si sono avvertiti in positivo in maniera significativa, malgrado l’area abbia avuto una perdita di attività a ragione specificatamente della crisi della Banca Marche e delle difficoltà di imprese industriali come la Berloni e la Indesit. Dai bilanci civilistici e dai bilanci sociali nonché da uno studio degli impatti del ROF effettuato dall’Università di Urbino emergono questi aspetti salienti: 

a) nel periodo del festival, il fatturato del settore dei servizi di Pesaro aumenta di 11 milioni di euro. In sintesi, contando l’indotto, un euro di contributo pubblico (al netto dei rientri diretti agli enti previdenziali e all’erario) ne genera sette di valore aggiunto a Pesaro e al suo hinterland; 

b)   nell’arco degli ultimi otto anni, i costi complessivi della manifestazione sono diminuiti del 25% (da 6,6 a 5 milioni di euro) e il numero di dipendenti fissi è rimasto costante a 12 unità (gli addetti raggiungono i 235 circa nelle settimane del festival). Dei 5 milioni circa di spese, gli oneri sociali (versati a Enpals, Inps, ecc.) e le imposte – in breve, il “rientro diretto all’erario” – ammontano a circa 600 milioni; 

c)  la biglietteria porta incassi per un milione circa di euro (non ne può portare di più a ragione della capacità fisica dei teatri); due terzi degli spettatori sono stranieri molto fidelizzati. Gli sponsor privati – imprese, banche, fondazioni – contribuiscono per circa un milione di euro l’anno. Il resto proviene da Enti pubblici (Stato, Regione e Comune), da coproduzioni e da vendite di allestimenti.

Inoltre, il ROF è l’unico festival italiano che dal 2016 ha dato impulso a: Rossini in Wildbad (Belcanto Opera Festival), un festival di musica lirica che si tiene in estate a Bad Wilbad, una stazione termale tedesca nella Foresta Nera, dove nel 1856 Rossini ha trascorso un periodo di riposo. Rossini in Wildbad e il ROF hanno ciascuno la propria programmazione, collaborano tra di loro. Invece, lo Spoleto Festival Usa, a Charleston South Carolina, creato da Giancarlo Menotti nel 1977, dal 1993 non ha più alcun rapporto con il Festival dei Due Mondi che si svolge nella città umbra.