“Erano i primi anni 50, e all’angolo della strada c’erano questi ragazzini di colore che cantavano armonie meravigliose, solo voci, nessuno strumento. Non si ottengono melodie così se canti da solo, bisogna avere una capacità innata di armonizzare. Il problema allora era che esistevano le radio che trasmettevano musica per bianchi e radio che trasmettevano musica per neri. Fu un dj bianco, Alan Freed, che per primo ebbe il coraggio di passare dischi di cantanti di colore nelle radio per i bianchi. E così nacque il rock’n’roll”. Little Steven, Miami Van Zandt, Steve Van Zandt o come diavolo volete chiamarlo, tiene lezione di rock’n’roll, tra un brano e l’altro, ed è un piacere starlo a sentire. E’ un po’ come entrare nel magico mondo del programma radio che ha tenuto per anni, Underground Garage, i golden days del rock’n’roll. E le canzoni che esegue sono quelle: a parte la recente Soulfire dei Breakers, misconosciuta band danese con cui l’ha composta che suona come uno sferragliante rock’n’roll è una esplosione continua di sbocchi del cuore che non lasciano prigionieri. The Blues is my Business di Etta James; Down and Out in New York City di James Brown; Standing in the Line of Fire di Gary U.S. Bonds; Groovin’ is Easy degli Electric Flag; Ride the Night Away di Jimmy Barnes; Merry Christmas dei Ramones. E naturalmente i classici che ha composto con l’amico Southside Johnny (I’m Coming Back, I Don’t Wanna Go Home, Love on the Wrong Side of Town che suonano come soul purissimo dei 60s) e i suoi di classici, canzoni che ripulite dai pesanti arrangiamenti elettronici degli anni 80 suonano fottutamente rock & soul: Salvation, Solidariety, Leonard Peltier, I Am a Patriot, Bitter Fruit, Out of Darkness.



Il tutto tenuto dentro a una scarica di soul selvaggio e potentissimo, che neanche nei nostri sogni più selvaggi avremmo mai pensato di sentire in Italia. Immaginate Phil Spector, i Temptations, le Supremes, le Ronettes con la forza di una band impressionante, i Disciples of Soul, quindici elementi tra fiati, coriste (che sembrano uscite da un film Blaxploitation degli anni 70 – ci parlerà anche di Shaft e Super Fly, Steven nella sua lezione rock), un batterista con un tiro e un crescendo pazzeschi, un ottimo chitarrista, percussioni, tastiere e piano elettrico affidato al leggendario Lowell Banana Levinger, ex Youngblood).



Il concerto, oltredue ore che si aprono con ulna roboante e commovente Even the Losers del recentemente scomparso Tom Petty, non ha un attimo di pause, a parte un paio di episodi intimi come  The City Weeps Tonight e l’antica Princess of Italy: è un susseguirsi tiratissimo di riff finalistici, sferzate di chitarra (Little Steven è un ottimo  chitarrista benché Springsteen abbia sempre fatto di tutto per metterlo in disparte), soul music alla massima potenza. Ma non solo. Questa band è in grado di toccare ogni angolo della music rock: soul, appunto; funk nella esaltante ripresa di Down and out in New York City; reggae, nel vivacissimo medley di Bitter Fruit-Leonard Peltier-I Am Patriot al cui interno c’è spazio anche per ulna lunga vibrazione psichedelica a base di chitarre spaziali: blues; rock’n’roll. 



Steven guida questi discepoli dell’anima divertendosi come un pazzo, finalmente libbero dalle pastoie di ulna E Street Band che per lui significa solo il conto pensione e ulna noia mortale. In Salvation soul e funk si innalzano al cielo e siamo durante una liturgia della Harlem di una volta e così in Solidarity mentre Standing in the Line of Fire e Groovin’ Is Easy ci lasciano senza fiato. 

“C’è un mondo qua four” dice verso la fine “cattivo e crudele in cui ognuno di noi può fare la differenza, quando usciremo di qui, l’importante è amarsi l’un l’altro e stare uniti”. Vecchio hippie che non ha perso un briciolo del suo cuore, dopo una trionfante Merry Christmas (I Don’t Want to Fight Tonight) degli amati Ramones, carica di urgenza e gioiosa baldanza rock’n’soul e una versione intima di I Don’t Want to Go Home che tutti aspettavano, saluta con una vibrante ed emozionante Out of Darkness:  There’s a sadness all around us There are words we’re too afraid to say The things that I thought would last forever Are changing every day There’s a hunger can’t be satisfied And the streets are filled with rage It’s time to dig deep inside ourselves And face the life we’ve made It’s gonna take two of us I just can’t do it all on my own I see the day gettin’ brighter Hold me a little bit tighter Out of the darkness in hand in hand (…) I thought the only justice in this world Came from an angry heart Now I know there’s got to be love to protect us (…) Oh baby, come with me out of the darkness Peace, love and understanding!“.

In una notte in cui sentivamo tutti il bisogno di sentirci giovani, Little Steven è riuscito a farlo e a ridarci fede, speranza e rock’n’roll. Quella cosa che, come diceva un cantautore della sua generazione, Elliott Murphy, “è l’unica cosa onesta che ci è rimasta”.