In occasione dell’ormai prossimo Festival di Sanremo, abbiamo compilato la lista delle venti canzoni che secondo noi ne hanno segnato la storia. Ecco la seconda parte dello speciale, la prima la trovate qui: i primi dieci brani.
Il surrealismo al potere
Vestito con un frac, una bombetta in testa, medaglie appuntate sul petto e scarpe da ginnastica, Rino Gaetano appare a Sanremo e celebra la nascita del surrealismo leggero, figura artistica che lui ha incarnato per i (purtroppo) pochi anni della sua magnetica carriera. Magari Gianna non è la sua canzone più travolgente (per dire: Aida è un capolavoro e sovrasta implacabilmente la canzone sanremese) ma con questa sua finta-goliardia Rino Gaetano libera un arcobaleno di rime e sottintesi che fortunatamente ha scosso di follia anche l’Ariston. Avesse avuto il tempo di incrociarsi con Elio e le Storie Tese (stepitosi qualche anno dopo con La terra dei cachi) chissà cosa sarebbe accaduto….
1991 – La fotografia, Enzo Jannacci
L’emozione delle storie
Nessuno come il cantautore milanese ha raccontato storie così autentiche, reali e commoventi attraverso le canzoni. Immagini indelebili (“così adesso che è finito tutto e sono andati via/ e la pioggia scherza con la saracinesca della lavanderia/ no io aspetto solo che magari l’acqua non se lo lavi via/ quel segno del gesso di quel corpo che han portato via”), classica alternanza tra dramma e ironia, phatos da brividi. Quando Jannacci (che si piazza undicesimo) a Sanremo ha cantato la storia del ragazzino assassinato sul marciapiede davanti agli occhi del padre malavitoso, si è capito che il punto di massima profondità dello scandaglio della canzone era ormai raggiunto. Il resto – inevitabilmente – è una conseguenza: chi ce la fa lo insegue. Gli altri si dedicano alle briciole.
La credibilità del teatrante
Teatro puro, questa è la presenza di Renato Zero sul palco. Gestualità, mimica, partecipazione, drammatizzazione, tensione dei muscoli facciali, movimento della mani: il cantautore romano a Sanremo partecipa tre volte, sempre con successo incontenibile. Ma con questa preghiera popolare (“Rei, di questa cieca ignoranza/ Rei, del vuoto di una presenza/ Vuoi illuminarci, Maria?”) Renato ha dominato scena e futuro. Tutti hanno imparato da lui e da questa sua partecipazione, soprattutto nell’epoca dei sentimenti rappresentati davanti alle telecamere. Con la differenza che Renato Zero è credibile. Gli altri, chissà…
1971 – 4 marzo 1943, Lucio Dalla
Al vertice della canzone d’autore
Una delle più note canzoni della stagione d’oro del cantautorato italiano “nasce” proprio sul palco del Festival. Frutto di compromessi incrociati (cambiamento di titolo, che era in originale Gesù Bambino, e modifica della strofe: “per i ladri e le puttane” diviene “per la gente del porto”), la canzone prende la data di nascita dell’autore bolognese, anche se il testo non è per nulla autobiografico. Per lui rimarrà una canzone simbolica e per tutti rimane una lezione di arte pura, senza intellettualismi ne fastidi. L’anno successivo Lucio Dalla torna al Festival, con lo stesso basco in testa, ed interpreta Piazza Grande con tre chitarre acustiche ed un mandolino in scena. Tripudio.
1989 – Almeno tu nell’universo, Mia Martini
La capostipite
Scritta da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio, Almeno tu nell’universo è una delle più grandi melodie fuoriuscite dal crogiolo di Sanremo. La pazzesca vocalità di Mia Martini è stata qui costretta ad acrobazie indimenticabili, punto di partenza e di riferimento di tutte le generazioni successive di vocalist femminili da Giorgia a Elisa. Anche se la differenza tra la Martini e le altre sta tutta nella finzione dell’arte: le altre in scena “interpretano”, mentre Mia, davanti al microfono “viveva” autentiche emozioni. Da qui – pur essendo capostipite – la sua unicità.
1983 – Vita spericolata, Vasco Rossi
E’ nata una stella
All’Ariston si piazza malissimo, ma entra nella storia il buon Vasco Rossi che canta di Roxy Bar e di Steve MacQueen. Segna uno spartiacque tra prima e dopo, tra i bei cantanti del Festival e quelli improbabili, che sembrano arrivati in Riviera per caso, con la mano in tasca, dopo aver sbagliato direzione di marcia e con qualche pasticca di troppo. Mentre Vasco cantava la voglia di una “vita piena di guai…. che se ne frega di tutto si”, s’affacciava nel mondo una nuova generazione di giovani che non aveva più bisogno “di santi né eroi”. Ma allora, di fronte a quel ragazzo modenese dallo sguardo scoppiato nessuno poteva immaginarlo…
1968 – Deborah, Fausto Leali
E’ merito di Fausto se il rhythtm’n’blues e il funky hanno attecchito anche da noi. Ed il luogo del misfatto è stato proprio il festivalone. Anni luce prima di Zucchero i tutti gli altri italian-soulman, Leali – voce viscerale da cartavetra, allora 24enne – interpretava James Brown e Ray Charles e non a caso questa sua Deborah (firmato da Paolo Conte per la musica) era interpretata sul palco di Sanremo anche da un certo Wilson Pickett. Il bresciano Leali nelle immagini d’epoca sembra scosso internamente da una scossa elettrica, spassoso contraltare soul al resto degli orchestrali e coristi del Festival, immobili come statuine pietrificate.
1969, Non sarà un’avventura, Lucio Battisti
L’illuminazione
L’arrivo di Lucio Battisti al Festival, per la sua prima e unica partecipazione, coincide con la presentazione al pubblico di uno dei suoi capolavori. In L’avventura il suo magico mix tra melodia italica e rhythm’n’blues è portata ai massimi vertici, anche grazie ad un perfetto cambio di ritmo, con un’accelerazione emozionante. Come sempre fintamente spaesato nelle sue esibizioni pubbliche, Battisti a Sanremo è apparso come una stella. Ed ha illuminato il cammino.
POSIZIONE NR.2
1961, 24 mila baci – Adriano Celentano
La scossa del rock
E a un certo punto sale sul palco un ragazzone dalle braccia lunghe e dall’andamento snodato, spudoratamente identico a Jerry Lewis. Viene da Milano e quando inizia a cantare lo fa girando le spalle al pubblico. Dove sono i cantanti eleganti e imbacchettati della canzonetta? Di colpo sono tutti spazzati via (anche se non lo sanno). Con Celentano arriva a Sanremo – e quindi piomba nel mezzo della canzone italiana – la ventata del rock’n’roll primitivo, quello di tradizione Presley-Billy Haley. Non importa se i 24mila baci (piazzati al secondo posto in classifica finale) arrivano al Festival su un treno sonoro fatto di violini e non di chitarre elettriche: dopo l’Adriano, la musica non è più stata la stessa. E tutti quelli che fanno rock gliene sono debitori.
POSIZIONE NR. 1
1958, Nel blu dipinto di blu, Domenico Modugno
Il capolavoro
Melodico e solare, mediterraneo e naif: è Mimmo Modugno il cantante che ha portato l’Italia in un altra epoca e che segna la fine del Dopoguerra e l’inizio del boom economico. Siamo sempre nell’ambito della canzone leggera, ma la cifra è diversa: attraverso il suo blu il Mimmo ci porta uno stile, un modo di scrivere, uno stile di interpretazione finalmente internazionale. Quel suo “volare, oh oh, cantare, oh oh oh” (accompagnato da una purissima big band) è ancora oggi è il ’45 giri più venduto della canzone italiana. Una sola nota per offrire un’idea del suo successo mondiale: Modugno ha vinto 2 Grammy Award con questa canzone. Quell’anno – nasceva proprio allora il premio-Grammy – gli altri vincitori sono stati Ella Fitzgerald, Count Basie ed Harry Mancini.