L’uomo che cammina sui pezzi di vetro attraversa il palco nel buio. Solo un faretto illumina uno sgabello e un microfono. Lo raggiunge, applausi e urla arrivano un po’ da tutta la sala. Mentre si accomoda, le corde d’acciaio della chitarra fremono e scandiscono quel rumore così tipico, così pieno di misteri. L’uomo ha un cappello, forse un Borsalino, sulla testa e occhiali scuri. Veste un elegante abito blu. Non risponde agli applausi, le sue dita invece lasciano partire un giro di accordi familiare, amatissimo. Qualcuno una volta gli chiese stoltamente se quel pezzo che adesso sta cantando era stato inciso usando un’accordatura aperta, tanto il suono ricordava certe chitarre di Neil Young: un suono scintillante, un arpeggio giocato sulle corde basse. Un momento di West Coast dalle parti di Trastevere. Pochi si sono mai resi conto di quanto quest’uomo suoni bene la chitarra acustica.
Dopo l’eccitazione iniziale, il pubblico in sala segue nel silenzio più totale quel primo brano, Pezzi di vetro: “Parla delle mie disavventure amorose giovanili” spiegò una volta allo stesso stolto di prima, “ma una volta vidi davvero per la strada un giocoliere che camminava su dei pezzi di vetro”.
Quando il brano finisce, l’applauso sembra non finire mai. Adesso tutti si aspettano l’ingresso della band, come usuale. Invece rimane solo sul palco, e le note della sua chitarra non le riconosce nessuno. “Irene alla finestra e tanta gente per la strada”, adesso il pubblico reagisce con un “oooh” di incredulità. Almeno, una piccola parte di quel pubblico, molti non sanno che pezzo è. C’è una magia purissima in questi tocchi di chitarra e la voce, il cantante non ha mai cantato meglio in vita sua, eppure è quarant’anni e passa che lo fa.
L’armonica soffiata con delicatezza e forza allo stesso tempo introduce un pezzo adesso ben conosciuto, La casa di Hilde, più dylaniana che mai.
Ma che succede? Quando arriva la band? Qualcuno adesso grazie ai giochi di luce vede che c’è un bel pianoforte a coda sul palco.
Il cantante ha preso gusto a suonare l’armonica e l’attacco di Caterina è più esaltante che mai. Quanta bellezza. Quanta passione. La tripletta che segue lascerà tutti storditi. Lo strumming deciso di Cercando un altro Egitto, l’intensità profonda e oscura di Dolce amore del Bahia, e poi la chitarra lanciata verso il cielo di Informazioni di Vincent. Lo stolto seduto da qualche parte in platea ha un sussulto, quasi cade dalla poltroncina. E’ la sua canzone preferita sin da quando aveva 15 anni, quando la suonava sul giradischi della sua ragazzina all’infinito. Dentro c’era il suo mondo, quel mondo antico scomparso. “Eppure mi aveva detto che non la suonava perché gli sembrava troppo una canzone da Sanremo” pensa, affogato tra i ricordi e la memoria.
A questo punto il cantante si alza, fa un cenno di saluto con le dita al cappello e si avvicina al pianoforte. “Bisogna aver amato molto per cantare l’amore” dice al pubblico e dal pianoforte arrivano le note calde di Cardiologia: “Che si gioca per vincere e non si gioca per partecipare Chi è ferito e non cade, ma continua ad andare A sbattersi nel buio e a farsi vedere A sanguinare di nascosto e a pagare da bere A goccia a goccia, ma tu guarda, il mio cuore mangiato L’amore ha sempre fame, non l’avevi notato”. Lo stolto pensa: “bisogna aver amato molto per cantare così l’amore”.
Qualcuno tra il pubblico lascia andare lacrime. Adesso le note di pianoforte sono quelle inconfondibili di Sad Eyed of the Lowlands e dal pubblico parte un altro “ooh” di meraviglia: L’amore comunque è un tuffo nel profondo del cuore di chi ha amato tanto.
Non si alza dal pianoforte il cantante e dice: “una canzone per la mia città” ed esegue San Lorenzo.
Il pubblico si aspetta adesso ovviamente Santa Lucia o La donna cannone, invece il cantante torna al seggiolino riprende la chitarra e lascia andare il fingerpicking inconfondibile di Quattro cani.
Ormai si è capito, questo concerto è una follia. Qualcuno si ricorda di aver visto una notizia sul web, “A solo acoustic evening con Francesco De Gregori”, ma aveva detto: la solita bufala. Invece le note energiche di chitarra anticipano un brano già dimenticato dai più, Sulla strada. Come è la vita del cantante, continuamente sulla strada.
Le luci sul palco si allargano e si vede un movimento in fondo, poi nella semi oscurità le note languide di una pedal steel avvolgono il mistero di un angelo, visto una notte soltanto per le strade di Lione. E’ più grande il mistero della morte o il mistero dell’amore, si chiese una volta un cantautore inglese che ora non c’è più. E a proposito di amore, ci sta bene adesso l’arpeggio di Se la vedi dille ciao, il tributo al maestro. Il cantante sembra indeciso, poi accenna acordi strani e sembra dire: ma sì ci sta anche questa. E sì, Baci da Pompei ci sta benissimo.
Si alza di nuovo e saluta con un leggero inchino e se ne va. Il pubblico trattiene il fiato. Poi l’uomo che cammina sui pezzi di vetro torna, si siede ancora una volta e lascia andare il crescendo di note impetuose ben sostenute dalla pedal stele che ricama in primo piano la melodia in crescendo, che sono più o meno le stesse diLike a Rolling Stone, ma la canzone si chiama Rimmel, e tutti la cantano. E lui sorride soddisfatto. Un solo ultimo bis, per fare pace con una storia antica, la storia siamo noi, ed è subito Alice nel paese delle meraviglie.
Ma non è finita ancora. La voce, “quella” voce così ricca di toni e sfumature, di dolore e di allegrezza, lascia andare una preghiera antica come il mondo: “E chiedimi perdono per come sono perché è così che mi hai voluto tu, prendimi per il collo, prendimi per mano che non mi trovo più”. Il carisma dell’uomo sul palco spacca i muri, allarga il soffitto. Se questa serata era una battaglia, l’ha vinta alla grande.
Lo stolto si sveglia di colpo, la segretaria ha sbattuto una busta sul suo tavolo. La apre, dentro c’è un disco di Francesco De Gregori, si intitola “Sotto il vulcano”. Scorre i titoli, mette su il disco e lo ascolta. La voce c’è tutta, magari un po’ coperta da quegli arrangiamenti esageratamente pomposi. I pezzi sono quelli di sempre, tutti suonano benissimo. Peccato si senta poco la pedal steel, pensa. Toglie il disco e ne prende un altro. E ascolta Informazioni di Vincent. Troppo sanremese, pensa lo stolto.
Le leggende dicono che una sera Bob Dylan andò a sentire un concerto di Neil Young, “a solo acoustic evening”. Ne fu entusiasta tanto che disse ai suoi collaboratori che voleva fare anche lui un tour così, tutto da solo. Poi ci ripensò. Disse che gli avevano dato fastidio i commenti del pubblico, le richieste, la voglia di interloquire con il cantante, le urla e accantonò per sempre l’idea. A volte è meglio nascondersi dietro un muro, anche se un muro di suoni.