Luca Rovini è un “balladeer” nella miglior tradizione. Scrive e canta ballate. E’ un termine ormai in disuso, sostituito da decenni dal più accattivante “songwriter”. Accattivante e semplice da usare perché dentro ci puoi mettere di tutto: canzoni folk, rock, pop, magari anche blues. Probabilmente anche il vincitore di Sanremo si definisce un cantautore. Scrivere ballate è invece un’arte antica, quella che discende dai trovatori medievali e giunse attraverso secoli di musica popolare fino ai giorni nostre: sono i cantastorie. 



Il più grande autore di ballate dell’epoca moderna è senz’altro Eric Andersen (di cui Bob Dylan una volta dal palcoscenico disse essere appunto il più grande “ballad writer”) e Luca Rovini non manca di mostrarne l’influenza, già sullo scorso disco che su questo nuovo “Figure senza età”. 



Questa volta le ballate, declinate in chiave leggermente bluesy, la fanno da padrone. Non è facile scriverle, perché bisogna avere una musicalità profonda, introspettiva e allo stesso tempo saper cantare di fatti, bisogni, esperienze comuni un po’ a tutti. Nei testi di Luca Rovini infatti è facile – e divertente – ritrovarcisi, in quella malinconia, in quel desiderio di bellezza, in quei momenti di paura  e sconforto nel profondo della notte per le strade deserte di Pisa o della città che volete, e poi risvegliarsi davanti al sole e al mare su una spiaggia deserta. Ma soprattutto non darsi mai per vinti nonostante tutto. 



Con l’eccezione di alcuni brani più briosi e rockeggianti, Corri uomo corri, Vite di contrabbando e la divertente Boogie finché mi va, Rovini raggiunge l’eccellenza di uno stile compositivo sviluppatosi in un lungo arco di tempo, in modo artigianale. 

Fra le cose migliori Companeros un brano minimale, appena sussurrato, impreziosito dalla tromba di Mike Perillo che regala atmosfere cinematografiche così vicine al Dylan inquietante di Oh Mercy.

Il climax lo si raggiunge alla fine con due brani straordinari. Il primo la versione in italiano (Rovini è bravissimo non solo a tradurre, ma a rendere con immagini personali e allo stesso tempo fedeli all’originale brani scritti  da cantautori americani) della leggendaria Desperados Waitin’ for a Train dello scomparso Guy Clark, che diventa Disperati in cerca di una via. Il secondo, nonostante il debito che tantissimi cantautori di casa nostra hanno verso di lui, è il primo tributo allo scomparso organizzatore di concerti Carlo Carlini, che portò in Italia il meglio della musica d’autore americana, L’ultimo hobo. Rovini commuove per l’intensità della dedica e per la bellezza della melodia e discreto, lontano da ogni circo mediatico. Sarà per questo che le sue canzoni trasmettono una intimità che oggi è merce rara-

E’ la cifra del disco, dal valzer malinconico di Fermando la notte, tra De Gregori e John Prine, all’arpeggio country di Porto per mano, brano che è anche difficile inquadrare in uno spettro di influenze tanto Rovini ha sviluppato un proprio linguaggio autonomo. In Figure senza età in primo piano l’ottimo dobro di Paolo Ercoli, una country song che si srotola piacevolmente. 

Fino al mattino, con le acustiche ancora dalle parti dello swamp della Louisiana, incantevole ballata notturna ricca di mestizia, con la voce quasi dialogante, brano onirico e visionario.

Tra i musicisti già citati, da segnalare il bravissimo Stefano Cudia alla chitarra acustica e slide, nonché co-produttore e arrangiatore del disco; Stefano Costagli, batterista raffinato e discreto; Eugenio Corsaro fisarmonica, Stefano Corsini e Giorgio Biancalana ai cori.

Sarà la presenza della base militare americana nei dintorni, ma a Pisa si respira un’aria densa di profumi tra il Texas, New Orleans e Nashville. Ma la forza di questo e dei precedenti dischi di Rovini è che, fin dall’uso dell’italiano, le nostre radici non vanno perdute, anzi sono esaltate.