Probabilmente nessuno più degli afroamericani è empatico con il dramma dei migranti di oggi. Portati brutalmente via da casa propria come schiavi in un mondo lontano e sconosciuto, costretti cioè a subire una migrazione contro la propria volontà, hanno poi continuato a vivere il dramma della migrazione, come quando negli anni venti per sfuggire alla povertà e alla fame degli Stati del sud dove vivevano “liberati” ma in condizioni di povertà estrema, migrarono verso le città industriali del nord in cerca di lavoro e di una vita appena più dignitosa. Di fatto, tutt’oggi sono dei senza patria. 



Eric Bibb, una delle voci più autorevoli del blues e della canzone folk americana, sa bene cosa significa: originario di New York, a vent’anni si trasferì a vivere in Svezia dove risiede tutt’ora: “Che tu sia un mezzadro che fa l’autostop da Clarksdale a Chicago nel 1923 o un orfano siriano su un gommone pieno di rifugiati nel 2016, è sempre il blues della migrazione”, dice. 



Il suo nuovo, splendido disco si intitola “Migration Blues” ed è coraggiosamente dedicato al dramma dei migranti, un disco politico ma ricco di sentimento e di compassione, qualcosa che nessuno dei tanti suoi colleghi più blasonati ha ancora sentito il bisogno di fare. “Il pregiudizio verso i nostri fratelli e le nostre sorelle che chiamiamo rifugiati è il problema. Paura e ignoranza sono i problemi. I rifugiati non sono il problema, sono coraggiosi esseri umani che scappano da circostanze tragiche”: ogni riferimento al neo eletto presidente Trump non è ovviamente casuale.



Il disco è una affascinante raccolta di blues e folk son acustiche, con il suo stile chitarristi impareggiabile, degno dei grandi bluesmen del passato e un accompagnamento musicale minimale. 

Due cover collegano Eric Bibb ai due maestri che per primi portarono nella canzone folk e blues il dramma degli ultimi: una ripresa del classico This Land is Your Land di Woody Guthrie (se i migranti hanno un inno è questo: la terra è di tutti) e Masters of War, la rabbiosa invettiva di Bob Dylan contro chi con le guerre fa i soldi e provoca le fughe della gente dai propri paesi, ridotta a un blues minimale. 

A sua firma brani deliziosi come la commovente Prayin’ for Shore, in cui si parla dei migranti siriani, una melodia gospel di grande impatto; lo strumentale che dà il titolo al disco, dove suona una dodici corde resofonica comprata in Germania, uno dei paesi dove si reca la maggior parte dei migranti. Delta Getaway rincorre il fantasma di Robert Johnson raccontando la storia di un afroamericano in fuga dal sud verso il nord industriale, Brotherly Love è una folk-song piena di sentimento, un invito a amare il prossimo per come è. Grande ricercatore musicale, Bibb aggiunge poi un altro strumentale dal titolo francese, La vie c’est come un mignon (la vita è come una cipolla…) dai sapori cajun, un’altra contaminazione culturale e razziale che assume significato speciale in un disco che è un inno alle contaminazione.

Eric Bibb si dimostra oggi il più valido e vitale esponente della tradizione blues e dei folksinger, uno dei pochi che invece di farne una esposizione da museo della nostalgia, sa incarnarla nella contemporaneità.