Ne abbiamo parlato al momento dell’uscita: “L’amore e la violenza” ha segnato il ritorno dei Baustelle ad una dimensione maggiormente pop e lineare del songwriting, più vicina a quella degli esordi e lontana dalle sofisticatezze e dalle prolissità degli ultimi due dischi, “Fantasma” soprattutto.
Una scelta che, almeno per quanto mi riguarda, è risultata vincente, anche dal punto di vista dei testi, andando così a riallacciarsi più o meno direttamente al discorso portato avanti fino ad “Amen”, per chi scrive il loro lavoro più maturo e compiuto.
Li vado a vedere a Torino, nella suggestiva location del Teatro Colosseo. Anche questa è una scelta che ho apprezzato: che abbiano voluto esibirsi nei teatri, per queste prime date del tour. Il clima più raccolto, nonostante abbiano realizzato un disco più diretto e “danzereccio” rispetto ai precedenti, è comunque in grado di far risaltare al meglio il colore e la vivacità del loro sound.
In apertura, poco dopo le 21, arriva Lucio Corsi, che sta aprendo tutto il tour della band. Avevo seguito il giovanissimo cantautore maremmano sin dagli esordi, quando aveva pubblicato l’ottimo ep “Vetulonia Dakar”. Poi è arrivato un altro ep, altrettanto riuscito e recentemente “Bestiario Maremmano”, il suo primo full length, un divertente e a tratti scanzonato viaggio attraverso gli animali che popolano la sua terra d’origine.
Il suo set è breve (solo cinque brani) e a vederlo sul palco, seduto da solo con la sua chitarra acustica, un po’ per l’abbigliamento, un po’ per le movenze, pare di avere davanti il David Bowie di “The Man Who Sold the World”.
Dalla sua, ha bravura e personalità a sufficienza e le sue canzoni sono ritratti ironici e surreali di una realtà trasfigurata dagli occhi della fantasia e resa amica da uno sguardo puro ma non per questo meno acuto. Oltretutto, dei brani proposti, ben tre sono inediti non ancora pubblicati e questo, con un disco fresco ancora nei negozi, dice di un artista perennemente in corsa.
Dei Baustelle, la prima cosa che colpisce e l’allestimento scenico, con casse e sintetizzatori dal gusto estremamente vintage, sormontate da una scritta luminosa con il logo del gruppo, così come appare sull’ultimo disco. Il tutto animato da un gioco di luci particolarmente anni ’70, per un impatto visivo generale davvero meraviglioso, retro e colorato allo stesso tempo: il modo migliore per riprodurre anche per l’occhio le particolari atmosfere sonore di cui “L’amore e la violenza” è ammantato.
La formazione è quella che ormai conosciamo: accanto al nucleo fondante del gruppo, composto da Francesco Bianconi alla voce, Rachele Bastreghi alle tastiere, cori e voci soliste, e a Claudio Brasini alla chitarra, c’è la formazione aggiuntiva indispensabile per riprodurre dal vivo il sound della band: ci sono quindi i soliti Diego Palazzo (chitarra e tastiera, che nel frattempo si è costruito un bel cammino parallelo, sia con gli Egokid che come solista), Ettore Bianconi (protagonista assoluto nel gran lavoro di Synth imbastito per questo tour), Alessandro Maiorino (basso) e Sebastiano De Gennaro (batteria); Andrea Faccioli alla chitarra acustica, invece, è il nuovo arrivo di quest’anno e, a giudicare da quel che si è visto e sentito, il suo è stato un innesto importante.
Gli otto musicisti mostrano una coesione e un affiatamento invidiabili, non c’è nessuna separazione tra il gruppo vero e proprio e la backing band ma tutto è omogeneo, il sound è quello di una vera e propria orchestra Pop.
La prima parte del concerto è dedicata al nuovo album: “L’amore e la violenza” viene suonato per intero, canzone per canzone in ordine di scaletta. Una scelta che fa capire quanto il gruppo tenga a questo disco e che mi permette di apprezzare ancora di più un lavoro che, già nella sua versione in studio, mi aveva colpito particolarmente.
Dal vivo, ovviamente, tutto risalta di più: sintetizzatori e tastiere sono predominanti ma le chitarre qui ci sono sempre e irrobustiscono il suono rendendolo più rock e meno plasticoso rispetto al disco. Non tutto funziona alla perfezione (in alcuni punti l’insieme è un po’ troppo impastato) ma il tiro complessivo è comunque notevole e in parecchi frangenti, durante gli episodi più movimentati, le comode poltrone su cui siamo seduti ci stanno un po’ strette.
Inutile soffermarsi su un brano piuttosto che un altro. Anzi, ascoltare questo disco dal vivo ha semmai evidenziato la sua grande omogeneità di fondo. Dal punto di vista sonoro e lirico, è un discorso che fila dall’inizio alla fine, tenendo dentro anche quei pezzi (come “Lepidoptera” o “Basso e batteria”) che mi avevano entusiasmato di meno.
Ottima anche l’interazione tra le parti vocali, con un Bianconi sempre molto preciso (fin troppo, a tratti; tanto che verrebbe quasi da sospettare la presenza di qualche “aiutino”, se non fosse che sarebbe inconcepibile immaginarlo da un gruppo come il loro) e una Rachele in grande spolvero, sia a livello vocale che scenico. Indubbiamente è lei che catalizza maggiormente le attenzioni, almeno a sul piano emozionale, costituendo un perfetto contraltare del suo partner maschile, che rimane sempre molto compassato.
La prima parte fila via così, piacevole e coinvolgente, senza sorprese ma con la certezza rinnovata che si tratti di uno dei dischi migliori del loro repertorio.
I nostri se ne vanno ma le luci rimangono spente. Sullo sfondo compare una scritta che recita “Rimanete seduti, relax”, gusto a puntualizzare che si tratterà di una pausa breve, che è inutile alzarsi e andare al bar, rischiando di turbare l’intensità del clima che si era creato.
In effetti si ricomincia subito, per quella che, anche senza avere sbirciato la setlist in anteprima, immaginiamo sia una carrellata di vecchi successi.
L’attacco immediato di “Charlie fa surf” (preceduta da un’intro dilatata, con gli accordi del tema introduttivo suonati in maniera lenta e solenne) fa capire che in effetti sarà così.
Non ci sono molte sorprese: i toscani preferiscono andare sul sicuro e mettono insieme una seconda parte dove il materiale più vecchio e quello più recente si mescolano in modo naturale, avendo cura di privilegiare quegli episodi più conosciuti e di maggiore impatto live.
Arrivano così “Romantico a Milano”, “Aeroplano”, presentata in un inedito arrangiamento per Synth, e con una Rachele come sempre sugli scudi, le vecchie “Gomma” (col sempre coinvolgente duetto tra Francesco e Rachele) e la “Moda del lento”, mentre da “Fantasma”, per fortuna, arriva la sola “Monumentale”, che comunque è anche uno degli episodi più gradevoli.
Sorprende l’esecuzione di “Bruci la città”, il pezzo che Bianconi ha regalato ad Irene Grandi e che in questa versione baustelliana si ammanta di un’inedita malinconia.
Il finale di set è dedicato a “Le rane”, non uno dei loro pezzi migliori, in verità, ma che è ormai uno dei più amati dai fan; è proprio questo il momento scelto dai presenti per abbandonare le sedie e riversarsi in massa sotto il palco. Improvvisamente l’atmosfera raccolta del teatro lascia il posto ad un tripudio di ragazzi urlanti (non pensavo che ci fossero ancora giovani tra il pubblico di questa band, è stata una gradita sorpresa) che si prodigano in ogni modo per far sentire il loro calore.
Con queste premesse, i bis si svolgono in un clima incandescente e l’attacco dell’inno “La guerra è finita” fa davvero venire giù tutto. Ogni singola parola viene urlata a squarciagola e sembra che i Baustelle siano ritornati, almeno per questa sera, la band generazionale che aveva folgorato il mondo dell’Indie rock anni fa.
C’è spazio poi per “Veronica 2”, inedito molto gradevole che personalmente non avevo mai sentito ma che deve essere circolato abbastanza in rete, considerato che c’erano almeno un paio di persone che la sapevano a memoria.
A chiudere il tutto, preceduta da un ironico “Questa probabilmente qualcuno di voi la conosce…”, arriva “La canzone del riformatorio”, il brano che apriva il primo disco del gruppo, che nel delirio collettivo chiude un concerto che si è davvero avvicinato alla perfezione.
Hanno probabilmente detto tutto, i Baustelle, hanno probabilmente già realizzato tutto quello per cui saranno ricordati in futuro. Ciononostante, è sempre bello vederli dal vivo e constatare che sanno ancora come si fanno a scrivere pezzi degni di questo nome.