Il talento, la classe e la dedizione che i siciliani Conqueror hanno messo nel riaccostarsi alla parabola creativa dell’art rock, è stato a livello personale uno dei momenti musicalmente più interessanti di questi ultimi anni. Si può azzardare che grazie a loro l’albero di quella straordinaria stagione di contaminazioni del rock con il lascito del patrimonio classico e popolare, abbia prodotto e continui a produrre frutti straordinari.
Pur in mezzo a un bel numero di tentativi degni di stima e menzione, è forse proprio la band messinese che ha dato il frutto migliore nel trascinare e armonizzare il peso di quelle influenze musicali, all’interno di una visione coerente e solida che non ha mai perso di vista il primato della creatura canzone e dell’energia cruda del rock.
Il riassunto di quasi tre lustri di grande ispirazione e inventiva l’ha fornito il bellissimo live “Un’Altra Verità” del 2015, trasposizione concertistica del loro disco in studio più completo e maturo “Stems” del 2014, ultimo lavoro di inediti ad oggi. Tutto ciò nonostante una formazione che stava scontando dopo anni l’assenza dall’economia sonora delle vitali colorazioni del flauto e del sax soprano.
A metà della composizione di un nuovo disco che vedrà il ritorno in ensemble del citato apporto strumentale, i Conqueror – sotto la regia produttiva e musicale dei leader storici Natale Russo (batteria) e Simona Rigano (tastiere, voce) – rieditano il secondo e fondamentale album da tempo fuori catalogo. “Storie Fuori dal Tempo” pubblicato originariamente nel 2005, torna alla luce riveduto nel suono e riproposto in una bella e sobria confezione cartonata.
Il resto è affidato ad una musica che mantiene tuttora un’incisività assoluta per estro e impatto. Il ripasso sonoro offerto dalla restaurazione rivela freschezza e modernità di un disco che – a parte due gradevoli brani di transizione come Pagine di poesie e Klaus – esibisce quattro brani che stanno a testimoniare il livello di eccellenza raggiunto da questa band nel lungo iter di un’idea ricostituente del rock, libera da ricette preconfezionate o steccati di genere.
L’iniziale Ouverture confeziona la sigla immaginaria di una poetica sonora con una rassegna paradigmatica del gusto, dell’eleganza e della solida consistenza rock dei nostri. La raffinatezza poliedrica delle tastiere di Simona Rigano, la grazia arcana dei flauti della sorella Sabrina, la pregevole consistenza dell’impianto ritmico guidato da Natale Russo, la liquidità delle trame di Tino Nastasi. La band marca con agio anche i meandri della lineare forma canzone scollinando con Mosaico di colori nel territorio delle Orme delle hit dei primi’70, prima di avventurarsi nuovamente nelle trame più ardite di No Photo.
Morgana incarna l’antico colpo di scena della closing track nel più classico stile della rock-suite che ingloba e armonizza le migliori singolarità del gruppo. In trenta minuti di trance agonistica musicale, vanno a incastrarsi le tessere degli svariati riferimenti dell’esperienza Conqueror. Il prog revival, il folk britannico e quello irlandese nella revisione mediterranea di Branduardi, fino all’art rock proteiforme dei Genesis delle visioni banksiane. In un continuo gioco di collisioni sonore ciascun riferimento si imprime sull’altro come in una partita a domino, rendendo inafferrabile l’intimo artistico del gruppo siciliano. A coronare il tutto la soavità tutta particolare e irrisolta del canto di Simona Rigano e del flauto traverso di una Sabrina Rigano che nell’evocare antichi miti si rende voce a se stante.
La bonus track di fresca registrazione Altre storie offre – con l’ottimo esordio al flauto di Sofia Ferraro – un riassunto debitamente aggiornato dei motivi conduttori del disco e del suo epico finale, suggerendo che se esistono un gruppo e un disco davvero fondamentali nella terza generazione del grande rock immaginifico, la risposta definitiva è Conqueror “Storie Fuori dal Tempo”.