Li vedi sfilare sul palco ad uno ad uno.  Sono i componenti di quella che è stata una delle band storiche del “maestro” e non puoi fare a meno di avere un moto di sommessa gratitudine davanti a tanta grandezza.  La serata milanese dedicata a Enzo Jannacci “Grazie Maestro” nel giorno del quarto anniversario della sua scomparsa (riproposta ancora in quel dello storico Conservatorio grazie all’amorevole abnegazione della grande Silvia Reggiani) è contenuta tutta in questa ambivalenza inafferrabile tra apoteosi e mancanza.   



Prima solo alcuni di loro accompagnano il giovane Andrea Achilli ne Il tassì, poi arriva il grande ospite Enrico Intra e realizzi che non è questione di genere.  Jazz, cantautorato, musica colta o canzonetta, perché forse nell’arte di Jannacci – e di queste sue membra vive –  c’è tutto questo e altro ancora.  Lo stile musicale funge da abbrivio, spunto, scintilla.  La differenza la fa la profonda verità di una storia che ha indagato e continua a decifrare i bisogni e il desiderio di un popolo.



Intra e chitarra acustica di Sergio Farina accarezzano le note di Vincenzina e la fabbrica in un melange tra jazz club e melanconia mediterranea.  Poi Farina lascia che ad Intra si accompagni un altro elemento storico di quelle innumerevoli band, il clarinettista Paolo Tomelleri, e la commozione assume tratti e contorni dell’evocazione stupita e silenziosa.  Nelle note di piano sgranate da Intra, nella dolce e struggente melodia disegnata da Tomelleri passa tutto il respiro e il senso del transito tra la vecchia Milano e la nascita dei nuovi fermenti artistici. Dal Santa Tecla fino all’esistenzialismo degli autori tra i profondi ’60 e gli albori dei ’70, senza che nessuna di queste espressioni escluda l’altra.  C’è la vita vera di una città raccontata minuto per minuto come in un romanzo storico di costume condiviso per fotogrammi e istantanee.    



Oltre a Farina e Tomelleri ci sono Paolo Brioschi al pianoforte, Marco Brioschi a tromba e flicorno, Piero Orsini al basso, Flaviano Cuffari alla batteria,  Carlo Pastori alla fisarmonica, Roberto Martinelli al sax.  Nel quarto anniversario dalla morte del maestro si respira la potenza suggestiva di una celebrazione di vita simile a quelle che normalmente contrassegnano i decennali, quasi che il ricordo di un artista scomparso diventi una festa di compleanno con il quale si celebra l’inseparabilità di una vita.  Grazie alla compagnia continua di queste “pietre vive” che ci portano e ci indicano senza sosta la presenza di qualcuno che non è mai andato via e che forse non ha ancora speso il suo pensiero definitivo.

E pietre vive sono tutti i bravissimi artisti che si susseguono a dar conto in tempo reale di questa vita che continua a lasciare tracce di sé.  Dai siparietti irresistibili dei cabarettisti Bove e Limardi, ai vari saluti, quelli sul palco di Marino Bartoletti,  Silvia Annichiarico e della rivista “Scarp de’ Tennis”, quello dal pubblico al grandissimo Franco Cerri presente in sala.

E le ottime esibizioni dei cantanti, dalla veracità in cartavetrata del grande Osvaldo Ardenghi di Parlare con i limoni e della superlativa Son s’cioppaa, alla vena roca di Stefano Usini, dalle moine da mala di Michaela Negri (protagonista insieme ad Usini di Io e te), al magistrale connubio tra arrangiamento della band e interpretazione di Carlo Pastori in Sei minuti all’alba.

E ancora la fresca vena di Emilio Sanvittore, quella di Elena Paoletti che in Vincenzina e la fabbrica fa squillare la voce come una cantrice della resistenza quotidiana dell’antica Milano o quella preziosa tra varietà e confidenziale del binomio piano-voce Nando De Luca / Ramona Wess.

Se possibile tre contributi rimangono impressi per talento e inventiva.  L’eccentricità surreale e spassosa del Davide Zilli di Il cane con i capelli e di una ipnotica E la vita la vita.  Il magnetismo interpretativo di un grande del teatro-canzone di oggi come il Paolo Barillari di un’indimenticabile La fotografia, per concludere con il puro incanto del giovane talento Lila Madrigali, prima in una Poiana rivisitata come una sarabanda di folk stradaiolo, poi (in coppia con Barillari) in un’intensissima Sfiorisci bel fiore (che rimpiazza la prevista Quando il sipario calerà).

L’Armando di Pastori e Grazie maestro di Ardenghi pongono il sigillo a una serata che ha messo al centro ancora una volta la forza antica e insieme avveniristica della Milano della “storia accanto”.