Ci sono delle volte in cui un disco mi colpisce e mi conquista talmente tanto da immergermi e perdermi nell’ascolto per giorni e giorni come se non ci fosse altra musica possibile. In realtà questa è una situazione che si verifica in maniera piuttosto ricorrente soprattutto quando mi accorgo di un artista per me nuovo o quando ascolto un disco appena uscito particolarmente ispirato. Quando poi mi rendo conto che l’artista in questione ha già una discografia nutrita alle spalle questa situazione provoca in me un senso d’ansia e un disagio socio esistenziale del tipo: ma io dove ho vissuto finora? Come ho fatto a vivere senza? Perché gli altri non me l’hanno mai detto? Ma allora cosa servono a fare gli amici?



Con una dinamica estremamente semplice quella bellezza, quel principio di bellezza, quella intuizione che si può cogliere mi spinge ad approfondire l’ascolto. È proprio questo il bello della musica e delle altre forma d’arte: ti colpiscono individualmente e in maniera del tutto imprevedibile da provocare uno stupore che affascina e che fa muovere. 



Gli Arbouretum rappresentano un buon esempio: quando cinque anni fa circa ho scoperto l’esistenza di questa band di Baltimora sono andato a scavare nel loro passato (non troppo remoto visto che sono attivi da poco più di dieci anni) e sono rimasto felicemente sorpreso dal loro suono unico e distintivo: combinano un folk rock classico ad uno genere progressive e psichedelico. In questi giorni a catalizzare la mia attenzione e i miei ascolti è proprio l’ultimo album degli Arbouretum Song of the Rose che è stato appena pubblicato con etichetta Thrill Jockey. 

La musica di Dave Heumann (leader, cantante e chitarrista) & Co. è di quelle che fanno perdersi via e che annullano il senso del tempo. Tempo che invece sembrava non passare mai dal loro album precedente Coming out of the Fog ma fortunatamente, dopo una pausa di quattro anni, la band ha prodotto il sesto album con una line up ormai stabile dal 2009 e che li vede composti del bassista Corey Allender, del batterista Brian Carey e del tastierista Matthew Pierce. Una band solida che attinge dal folk rock britannico degli anni sessanta/settanta, Fairport Convention su tutti, per produrre degli arrangiamenti articolati e delle melodie raffinate. Ancora una volta i testi sono ad opera di Robert Wilson e di Dave Heumann, tuttavia mentre in passato la prospettiva della scrittura è stata trascendentale, nell’occasione di questo disco prevale l’esperienza personale ispirata da tematiche legate ad elementi naturali, filosofici, mistici…ma anche poetici. 



È proprio un poema “The Rose” di Richard Lovelace di diverse centinaia di anni fa ad aver ispirato il tema, il titolo e la copertina dell’album. Come mi ha raccontato Dave Heumann con il quale ho avuto la possibilità di scambiare alcune battute sul nuovo album: “La Rosa è l’immagine centrale del disco. Il poema contiene le parole Pale Aurora che sono contenute nella canzone Song of the Rose”.  Il perché di quel poema lo spiega Dave: “Il poeta inglese Richard Lovelace è un mio antenato dalla parte di mio padre di diverse generazioni fa. L’ho saputo fin da piccolo, il mio bisnonno scriveva per un giornale e gli è stato intitolato un parco a Chicago (Lovelace Park) che è ancora chiamato così”. La vena poetica evidentemente deve essere passata di generazione in generazione a giudicare dal suo testo ispirato: “Petals slowly open where the fire is hidden, but is not captive shines the way back as it burns all the outflowing returns”.

La canzone che apre il disco è Call upon the fire. Un rock psichedelico, caratteristico e in linea con il suono tradizionale della band e dove emerge ancora una volta l’ottimo controllo e l’imponenza della voce baritonale di Dave. Che bisogno c’è di invocare il fuoco? “Il fuoco è un elemento di forza come l’acqua e l’aria. La canzone richiama a certi elementi per opporsi a condizioni stagnanti, come per esempio nella medicina cinese ci sono approcci che utilizzano il calore per combattere l’umidità e così via”. La filosofia Taoista e la mitologia hanno avuto una grande influenza sul disco, nella canzone Absolution Song “I wrote a song for absolution” non vi è in realtà alcuna invocazione di assoluzione da nessun particolare reato o peccato: “Ci sono momenti in cui ti capita di ricordare un fatto spiacevole, che ti arreca un certo disagio perché avresti potuto prendere una decisione migliore… l’idea del brano è, e se invece fosse la canzone stessa la modalità per sistemare il tutto, per tornare indietro nel tempo e per aggiustare il passato”? 

Dirt Trails è un folk melodico che tratta il tema dell’evoluzione tecnologica e dell’”illusione del progresso” che anziché semplificare la vita la complica creando e aggiungendo problemi nuovi da risolvere. Con Fall From An Eyrie, il primo singolo dell’album, si torna alla psichedelica ed è caratterizzato da un suono potente dal ritmo ipnotico. Infine con la conclusiva Woke up on the Move (Svegliato in movimento), in cui tratta il rapporto del genere umano con il mondo naturale, la band del Maryland tocca il punto più alto del disco e tira fuori la sua anima folk per riportare il disco ad uno stato di calma, forse solo apparente.

Dopo 5 anni di assenza gli Arbouretum tornano in Italia ma per una sola data il 24 giugno e in una location insolita, la Cascina Bellaria di Sezzadio (AL). Per chi è nei paraggi una bella occasione per ascoltare la Canzone della Rosa dal vivo: “There’s a lone rose by the sea where infinity’s conceived” (c’è una rosa solitaria vicino al mare dove l’infinito è concepito). L’infinito in una rosa, l’infinito in una canzone, la bellezza di uno stupore.