Nove mesi fa avevamo ammirato i Notwist nella bellissima cornice del Siren Festival di Vasto. In quell’occasione c’era stato l’intero “Neon Golden” riproposto dal vivo e le canzoni del loro disco più celebre e più riuscito avevano senza dubbio arricchito un concerto che si era in ogni caso rivelato splendido.
Per chi se li fosse persi in quell’occasione, i sei tedeschi sono nuovamente tra noi, questa volta addirittura per cinque date; una sfida grande, probabilmente azzardata, per un paese come il nostro dove sempre meno gente si muove per andare ai concerti e per un gruppo come il loro, che per quanto valido, da noi ha sempre raccolto molto meno di quel che si meritava.
Nel frattempo, in casa Notwist, non è successo molto: l’ultimo disco in studio è sempre “Close to the Glass”, uscito nel 2014, e non sembra che ci siano progetti di un nuovo lavoro all’orizzonte (non in tempi brevi, se non altro). È stato però pubblicato un live album, “Superheroes, Ghostvillans and Stuff” (titolo preso da un verso di “Kong”, uno dei più bei brani dell’ultimo disco), tassello che ancora mancava nella discografia dei nostri e documento indispensabile per tutti i loro fan, dato che dal vivo la band di Monaco esplora dimensioni e territori molto diversi rispetto alle registrazioni in studio.
I Magazzini Generali, venue prescelta per la tappa milanese del tour (che è anche la primissima data di questa nuova leg, dopo i concerti di febbraio in Germania) appaiono del tutto deserti, quando ci presentiamo ma per fortuna eravamo semplicemente arrivati in anticipo: man mano che si avvicina l’orario previsto per l’inizio il posto si riempie e alla fine ci sarà un discreto pienone (certo, parliamo sempre di poche centinaia di persone, per una band che meriterebbe a mio avviso platee molto più consistenti).
Non c’è supporto e si parte poco dopo le dieci, sulle note crepuscolari di “Signals”, dall’ultimo disco. Il secondo pezzo continua il tono dimesso e minimale con cui si è aperto lo show ed è anche una sorpresa: trattasi di “Come In”, bside del 2008 e raramente eseguita in concerto.
Come al solito i sei sorprendono per inventiva, gusto e fantasia. Il palco è un tripudio affollato di synth, tastiere, computer, batteria e strumenti a percussione vari. La particolarità di un loro live sta proprio nella scioltezza e nella facilità con cui passano, da una canzone all’altra, dall’elettronico all’analogico o viceversa, e dal modo in cui quasi tutti i brani vengono allungati e trasformati strada facendo.
C’è sempre una base ritmica tradizionale (basso e batteria sono “veri” anche se spesso supportati dai campionamenti) e Markus Acher accompagna alla chitarra tutte le sue linee vocali.
Attorno a questa struttura, però, tutto cambia in corsa e non è detto che uno stesso membro del gruppo inizi e finisca una canzone suonando lo stesso strumento.
La loro è un’elettronica utilizzata in ogni spettro possibile, dai campionamenti fino alle basi house, tra loop creati in diretta e gran lavoro coi sintetizzatori.
In più, ampio spazio dato alle percussioni, incluso un utilizzo mai banale dello xilofono, perfetto nell’arricchire di nuove suggestioni la sezione ritmica.
Con queste premesse, le quasi due ore di concerto rappresentano un viaggio affascinante in mille territori differenti: “Into Another Tune” parte soffusa come nel disco, con voce e tastiera, per poi crescere pian piano e diventare quasi Techno. “Kong” è una magnifica cavalcata dove chitarre e Synth si fondono alla perfezione, con un Andi Haberl indiavolato alla batteria che aumenta il ritmo ogni tre secondi nel finale. “Boneless” e “The Devil, You+Me” (altri due graditi ripescaggi dal recente passato) vivono di toccanti suggestioni acustiche, quasi a la Radiohead. “Puzzle”, inaspettata incursione nei territori ancora chitarristici di un disco come “12”, ci riporta, un po’ nostalgicamente, all’Indie Rock di marca Nineties.
E poi, immancabili, gli episodi estratti da “Neon Golden”, con un trittico da paura nella parte iniziale, composto da “Pick Up The Phone”, una trascinante “One With the Freaks” e una “This Room” che ancora una volta fonde atmosfere malinconiche con lunghe fughe elettroniche.
Il finale ormai da anni è sempre quello ma è impossibile stancarsi: “Neon Golden” e “Pilot” in rapida successione, fuse una nell’altra, col tocco geniale dei vinili tirati fuori da una borsa e messi sul piatto da Markus, che “screccia” e si remixa in diretta, in un’atmosfera che sfocia velocemente nella House più pura prima che, col ritornello, si ritorni improvvisamente al rock. Quindici minuti di totale apnea, durante i quali il pubblico rimane completamente ipnotizzato.
Quando viene annunciata la fine, scusate la retorica, sembrano passati pochi istanti, ma in realtà i nostri sono sul palco già da un’ora e mezza abbondante.
Ovviamente non ci credeva nessuno che sarebbe finita così: ecco quindi la band ritornare on stage e sorprendere tutti con le deflagrazioni elettriche di “One Dark Love Poem”, ripescaggio illustre dal secondo disco “Nook” (era stata inclusa anche nel recente live) anche se le sonorità quasi Metal della versione originale sono state comprensibilmente abbandonate.
Poi arriva quel capolavoro che risponde al nome di “Gravity”, questa volta resa un po’ più robusta dall’uso delle distorsioni e da un ritmo di batteria più sostenuto.
E finisce così, questa volta per davvero, lasciando tutti un po’ basiti per l’assenza di “Consequence”, il loro pezzo più conosciuto, fino ad ora sempre presente nelle scalette dei concerti.
Sindrome da “Creep” con quattordici anni di ritardo? Devo confessare che ci ho pensato, mentre uscivo dal locale commentando il concerto con gli amici. Ma lasciamo perdere queste elucubrazioni. Accettiamo che dopo tanto tempo un gruppo si possa stancare dei suoi pezzi più celebri e confidiamo nel fatto che i Notwist abbiano dei fan preparati e intelligenti, che non giudicheranno un concerto dall’assenza di un (seppur meraviglioso) classico.
Detto questo, il primo di questi cinque concerti italiani della band tedesca si è rivelato l’ennesimo trionfo. I gusti sono ovviamente soggettivi ma il valore artistico, per molti versi, non lo è. Si rimane quindi sempre perplessi quando si vede che un gruppo così gode ancora di così poca notorietà nel nostro paese.
Adesso aspettiamo il nuovo disco. Conoscendoli, troveranno ancora una volta il modo di sorprenderci.