Ci sono più storie nascoste nel mondo della musica di quanti dischi sono usciti. Anzi, si potrebbe dire che per ogni disco pubblicato un altro è rimasto nascosto da qualche parte. La storia di Piero Chiappano fa parte di queste.
Nei primi anni 90 era un cantautore giovane e di belle speranze, adocchiato dai discografici che contano, e che se lo contendevano. Nel 1994 finalmente esordisce con un disco di sue composizioni, “La via del sale”, per l’etichetta che ai tempi pubblicava grandi nomi della musica italiana come Enzo Jannacci o Eros Ramazzotti, accompagnato dai migliori musicisti del momento, ad esempio l’ex chitarrista di Vasco Rossi Nando Bonini alla chitarra (oggi appartenente all’ordine francescano), Paolo Costa al basso e Lele Melotti alla batteria.
Come succede spesso in questo mondo, quell’etichetta discografica venne venduta improvvisamente a una major, proprio quando si trattava di distribuire il disco, che rimase così nel dimenticatoio. Piero Chiappano, disilluso dall’ambiente, lascia la musica e va a lavorare come tutti.
Un incontro con un sacerdote, pochi anni fa, cambia però di nuovo la sua vita. Non solo ritrova la fede ma anche la voglia di fare musica. Così quasi 25 anni dopo pubblica il suo secondo disco, “Tra lavoro e santità”. Ed è un disco molto particolare.
Grazie alle conoscenze di un tempo, dentro ci suona un grande nome come il chitarrista Giorgio Cocilovo (uno che fra i tanti ha suonato e prodotto ad esempio Enzo Jannacci, e poi ancora Celentano, Renato Zero, Jovanotti, Gaber, Vecchioni e altri ancora). La sua presenza e la produzione di Mario Natale, veterano anche lui dell’ambiente, danno consistenza e qualità al lavoro, che sebbene richiami sonorità un po’ sorpassate (certo rock anni 80, tra Bryan Adams e il primo Ligabue) suona fresco e convincente.
Ed ecco l’altra particolarità che fa di questo disco un evento unico nel mondo ormai tutto uguale della musica italiana. Chiappano dedica tutte le canzoni alla fede ritrovata. Se fossimo in America si potrebbe chiamare “christian rock”, ma le etichette alla musica è sempre meglio evitarle. Certo, i temi trattati non sono quelli che si sentono nelle radio di oggi, ma Chiappano è talmente onesto nell’esprimere la sua vita che il risultato non disturba, non è una predica di qualche prete annoiato come ce ne sono sempre di più sugli altari delle chiese, ma è vita vissuta.
L’iniziale Buon cristiano, dal refrain tipicamente springsteeniano, è il manifesto di tutto questo; Madre del Cielo è una delicata ballata pianistica in cui l’interpretazione vocale non può non muovere i sentimenti dell’ascoltatore.
Ritmo squadrato e incalzante per il bel rock’n’roll La croce la rosa il sacerdote dove Chiappano si mette a nudo nella sua fragilità che chiede di essere “audace di vivere come Te”.
Che le canzoni di Chiappano non siano fughe in un misticismo astratto lo dimostra la splendida Amor Dei: si fanno nomi e si racconta di gente che si suda la vita facendo il fornaio, il dirigente di una multinazionale, il falegname, la madre in carriera. Ma non sono soli, con loro c’è qualcuno che li sostiene e li accompagna. La tilte track è un bel country rock spigliato, in cui l’apparente dicotomia che la società di oggi ci impone, tra pubblico e privato, è superata “da un po’ di buonumore, quando parte il giorno parto anche io sul cammino inevitabile di Dio”.
Il disco si conclude con un brano ambizioso, che musicalmente riprende la gloriosa Smalltown di John Mellencamp ma che è dedicata a quel San Josemaria, fondatore dell’Opus Dei: “ogni giorno senza croce è un giorno andato”.
Un disco sincero e onesto come difficile trovarne in giro. In una epoca storica fatta di nichilismo imperante, che ci sia qualcuno che sappia declinare in musica santificazione del lavoro e della vita ordinaria è una bella sfida.
(il disco si può richiedere a pierochiappano@hotmail.com)