Una forte realtà del prog revival di questi anni come il Tempio delle Clessidre ci fa ripercorrere uno spicchio di tempo di un’era gloriosa piena di fermenti creativi.  Quella di una delle svariate realtà italiane fuoriuscite dal periodo dei “gruppi” del pop e del rock sinfonico, la forma diversiva di rock artistico e temerario emersa sulle ceneri ancora roventi del beat.  Una delle tante – ma non come tante – era il gruppo ligure Museo Rosenbach, quello di Stefano Galifi, Alberto Moreno e di un grande compianto come il batterista Giancarlo Golzi (poi nei Matia Bazar), autori di uno dei parti più originali e unici del prog italiano, quello “Zarathustra” segnato da un intimismo oscuro e un’enfasi drammaturgica in bilico tra opera rock, musical e teatro.



L’avventura dei genovesi del Tempio è la sorpresa di un approccio mentale e di cuore aperto alla sfida con il proprio punto di riferimento, un mettersi nella sua prospettiva per cercare una assimilazione originale arrischiando la zampata personale con l’accostamento indiscreto di stili e scritture.  Un’inventiva che nasce dalla collisione tra la tastierista Elisa Montaldo e il bassista/chitarrista classico Fabio Gremo, due pensieri contrapposti e speculari sul far musica, differenti ma in fondo simili nello sfruttare e valorizzare le rispettive scie.



La sfida prende forma e sostanza sotto forma di vero e proprio patto artistico con quel riferimento, in una sorta di sua neutralizzazione e trasformazione creativa.  Stefano Galifi in qualità di voce e frontman per un eponimo d’esordio (2010) che armonizza quel muoversi tra canto post-beat e canoni ambiziosi della musica dei ’70 combinati a sonorità hard-rock.  E insieme a Galifi il gruppo propone i brani del disco insieme a quelli di “Zarathustra”.  La strada è così tracciata, Galifi continua l’esperienza Museo Rosenbach, la giovane band si ributta nella mischia con il canto passionale e roboante di Francesco Ciapica.  Prende forma un seguito – “AlieNatura” (2013) – che sconta qualche prolissità alternata a momenti di alta ispirazione.



I quattro anni trascorsi giustificano l’attesa di questo nuovo “Il-ludere”, disco di una maturità ipotetica e di una indubbia crescita delle personalità da sole o in combinazione tra loro.  L’ottimo chitarrista Giulio Canepa e Francesco Ciapica contribuiscono alla scrittura, il drumming esperto di Mattias Olsson alimenta la solidità del suono d’insieme.  Nel titolo il gruppo raffigura un’antinomia virtuosa tra dimensione del divertimento e dell’illusione, una ricerca della ideale coniugazione tra profondità e leggerezza.  La copertina riflette questa bidimensionalità riproducendo il celebre gioco enigmistico del “Che cosa apparirà?” con la reale possibilità di annerire gli spazi.  E il disco è in effetti un confronto serrato con ogni sorta di enigma esistenziale.

Come evidente dalle voci di sottofondo dell’intro Le regole del gioco.  Enunciazione, arpeggio classico ed ecco l’ascesa sonora de La parola magica.  

Trame che danzano granitiche attorno all’organo, basso, batteria e una chitarra che a tratti si stacca tirando riff sparsi.  La voce narra in senso epico preparando l’irruzione repentina del synth analogico.  Come nelle favole reimposta il tipico hard’n heavy “demetallizzato” del gruppo tra iniezioni oniriche, cori vigorosi e mordi e fuggi tra lead guitar e moog.  Giulio Canepa è autore di una Dentro la mia mente che media l’anima hard di Gremo con quella stralunata di una Montaldo che lega i passaggi con riff schizzati che grondano impressionismo.  E’ l’ideale centro tematico.  Se esiste una parola chiave per scoperchiare gli enigmi della vita, la stessa si rivela inadeguata a “colmare quel senso di vuoto che le sole lettere possono narrare”.     
L’unica è forse spiare la vita come il fantasma del palcoscenico di una Spettro del palco (singolo che ha preceduto il disco) che ammicca la canzone da musical.  Nella chitarra classica e nei tocchi paesaggistici di piano di Prospettive sembra prendere forma la ricerca dello sguardo originale per ridisegnare il domani.  I micidiali picchi sonici alla maniera di Gremo la appaiano alle durezze proverbiali di Nuova Alchimia.  L’intenso naturalismo di Manitou vede il baritonale possente di Ciapica assecondare la grazia sensuale e gotica di scrittura e orchestrazione della Montaldo tra maestosità celtiche e percussioni etniche.
Al culmine dell’indagine La spirale del vento è come l’annunciata catarsi tra enigmi estremi di Dio, aldilà e cielo, “verità nascoste dentro ogni giorno”.  Lo spunto metafisico sembra istigare i compositori a sfidarsi nei rispettivi ambiti.  La delicatezza sinuosa della Montaldo contrappuntata dalle veemenze del basso, la vena intimistica della tastierista rintuzzata dalle escursioni hard di Gremo, Canepa e Ciapica, gli stacchi a modellare una danza schizoide, pregevoli mosaici di basso e interludi preziosi di synth, fino alla trionfante e speranzosa melodia finale disegnata da voce e tastiera.  C’è anche una Gnaffè bonus track che – con un duetto brillante tra Ciapica e Montaldo – inscena un gustoso divertissement di sapore antico e popolare ispirato alle novelle boccaccesche.  

Per scoprire un possibile inizio di risoluzione dei misteri, un primo importante passo è godere di questa musica nell’incontro con le note e i volti del musicisti sul palco, come alla Casa di Alex di Milano il 6 maggio scorso dove l’album è stato presentato in anteprima nella sua quasi completa integralità e con un paio di escursioni per ciascuno dai primi due album.  Potreste scoprire una singolare e contagiosa forma di gioia e di alchimia tra musicisti appassionati e sempre in sfida con se stessi.