Non è un corvo, ma la gazza fa comunque parte della grande famiglia dei corvidi. Loro non sono i Black Crowes, ma fanno anche loro parte della famiglia. Dentro infatti ci sono tre ex membri, di cui uno dei fondatori, Rich Robinson. Gli altri sono il chitarrista che fece parte della band nel suo periodo migliore, Marc Ford, e il bassista Sven Pipien. Dei Magpie faceva parte anche un altro ex Crowes, il tastierista Eddie Harsh, purtroppo deceduto recentemente, ma che ha ancora fatto in tempo a partecipare a questo disco. 



Ce n’è abbastanza per far felici i vecchi fan della gloriosa band che dopo numerosi scioglimenti e altrettante regnino sembra che adesso sia finita per sempre. La pietra tombale sulla miglior live band degli ultimi trent’anni ce l’hanno messa parimenti i due fratelli fondatori che un po’ come i fratelli Gallagher non si rivolgerebbero più la parola. Così mentre Chris Robinson con la sua Brotherhood continua a macinare una versione aggiornata del suo grande amore, i Grateful Dead, Rich gli risponde spolverando di nuovo l’aggressivo southern rock delle origini, ma mettendoci dentro anche una buona dose di psichedelia jazz. Ma soprattutto la gioia di tutti è risentire di nuovo Rich Robinson con Marc Ford, un chitarrista tanto bravo quanto ignorato dal grande circuito delle chitarre.



A parte il primo brano, Omission, che suona come un classico dei BC prima maniera, il resto del disco è registrato dal vivo negli studi di Levon Helm a Woodstock, davanti a uno sparuto gruppo di spettatori, una sorta di battesimo del fuoco per musicisti che si trovano più a loro agio dal vivo che in studio.

Il resto del disco è composto in gran parte di cover, tra cui una inaspettata Fearless da “Middle” dei Pink Floyd, e classici di artisti sempre amati dai fratelli Robinson, come Comin’ Home di Delaney, Bonnie ed Eric Clapton, Goin’ Down South di Joe Sample, tastierista dei Crusaders,  Ain’t No More Cane, tradizionale reso noto da The Band, Glad and Sorry dei Faces. A sottolineare che oggi è lui l’incarnazione dei BC, Robison ci mette anche Time Will Tell di Bob Marley che appariva sul disco capolavoro della band, “The Southern Harnony…” e Wiser Time (splendida jam di quasi dieci minuti di durata con un Marc Ford straordinario che nel finale viene raggiunto da un Rich Robinson altrettanto in palla), scritta col fratello e pubblicata su “Amorica”.



A guidare il tutto la voce del frontman John Hogg, ottimo cantante di colore, con un coro di tre voci femminili. 

Se le incursioni nel southern rock a base di duelli slide-chitarra non possono che far piacere, i brani che si ascoltano con maggior godimento sono la versione jazz strumentale di Goin’ down South, una lunga improvvisazione a base di vibrafono, pianoforte e tastiere del sempre eccezionale Eddie Harsh coadiuvato dall’ottimo Matt Slocum con interventi di Marc Ford che ricordano il Dicky Betts più jazz e quella sullo stesso impianto jazz ma più incalzante che è la splendida War Drums (dal repertorio di Eric Burdon & War), oltre nove minuti, brano scritto ai tempi della guerra in Vietnam e oggi più che attuale che mai vista la terza guerra mondiale in cui ci troviamo (anche se in molti non l’hanno ancora capito).

Un disco dunque che è un biglietto da visita scintillante, in attesa di ascoltare composizioni proprie. 

Sono tornati i Black Crowes? Non esattamente. Lo stesso Rich Robinson spiegando il nome della band ne ha spiegato le intenzioni: “C’è una vecchia usanza inglese che si tramanda, che dice che quando incontri una gazza è meglio che la saluti, in modo da tenere lontana la sfortuna e avere una buona giornata. Il modo di salutare la gazza secondo alcune tradizioni è ‘Buongiorno capitano’. Ecco perché anche noi salutiamo, per dimostrare che veniamo in pace. Le gazze possono essere nere e bianche, come la luce e l’oscurità, due cose che ho ben conosciuto nella mia vita”.

Un messaggio subliminale per Chris? Intanto godiamoci la musica.