La stagione estiva del Teatro Lirico di Cagliari ha avuto il 10 giugno una doppia inaugurazione. In primo luogo, è stato presentato un riallestimento di un Rigoletto di Giuseppe Verdi da considerarsi “storico”: nato quasi un quarto di secolo fa da un’idea di Alberto Fassini realizzata, per la parte registica da Joseph Franconi Lee e con scene e costumi di Alessandro Ciammarughi ha girato per numerosi teatri e viene considerato un “classico” del genere. In secondo luogo, è stato riallestito per essere lo spettacolo di apertura della Forte Arena, un spazio scenico costruito in modo modulare, accanto al Forte Village (uno dei resort più noti della zona) al fine di poter accogliere da 2.500 a 5.000 spettatori per una vasta gamma di spettacoli (dalla lirica, alla commedia musicale, al rock e via discorrendo) a circa cinquanta chilometri da Cagliari. Sino ad ora, in estate, il Lirico cagliaritano o chiudeva, o operava all’aria condizionata oppure montava spettacoli nelle rovine del teatro romano.
La Forte Arena è un’interessante esperienza di collaborazione tra pubblico e privato. Non intende diventare una sede per opere ciabattone da spiaggia, ma presentare lavori di grande spicco ad un pubblico internazionale. Alla “prima” i prezzi per i posti migliori non erano inferiori a quelli della Scala o del Teatro Nazionale di Monaco di Baviera. E l’arena era strapiena.
A Rigoletto, opera “popolare” e tra le più rappresentate al mondo delle 27 verdiane, la stagione estiva di Cagliari accompagna una chicca per intenditori: L’Ape Musicale, un pastiche creato a New York da Lorenzo da Ponte sulla base di brani di vari compositori (procedimento frequente nell’epoca barocca), una prima italiana ove non mondiale in tempi moderni, che verrà replicato a Cagliari dal 14 al 28 luglio nel piccolo ma elegante Teatro Civico e, successivamente, in vari centri della Sardegna. E’ un atto unico di poco più di un’ora in cui – per mutuare un noto titolo donizettiano – si ironizza sulle convenienze ed inconvenienze teatrali dell’epoca.
Nella “trilogia popolare” di Verdi, Rigoletto supera i “numeri chiusi” (a cui il compositore ritornerà l’anno seguente con Il Trovatore) con declamati, ariosi e concertati (il terzo atto non è divisibile in “numeri”); ha un flusso orchestrale continuo al cangiare delle atmosfere (specialmente nel secondo quadro del primo atto nonché nel quarto atto); e, soprattutto, ha personaggi con psicologie scavate a fondo. Rigoletto è il grande reietto, sfigurato nel corpo, con un’anima sincera e una seconda vita nascosta. Costretto a fare il compagno di bagordi del Duca di Mantova, si accorge che costui gli ha sedotto la figlia, Gilda. Assolda un killer per ucciderlo. Ma il pugnale trafigge la fanciulla. Dramma, quindi, cupo. Da vera tragedia.
L’impianto di Alberto Fassini, Joseph Franconi Lee e Alessandro Ciammarughi, adattato ad un grande palcoscenico senza soffitto, illustra con una scena rotante e con un abile gioco di luci non solo i luoghi dell’azione, ma pure gli stati d’animo. “Tutti si travestono, si mascherano, sono altro da sé – spiega il regista. Il Duca despota libertino e prepotente, ma anche lo studente povero; Rigoletto il buffone laido e il padre amoroso; Gilda si traveste da uomo e si fa uccidere per amore e il suo sentimento, nascosto al padre, la conduce al finale tragico, dove gioca l’ultimo equivoco”. L’azione scenica è stata indirettamente agevolata da una notte stellata con una grande luna piena dietro la macchina teatrale.
I musicisti, però, (dai cantanti agli orchestrali al coro) hanno dovuto combattere con una fitta umidità. Sono i rischi degli spettacoli all’aperto: per l’anteprima, il 9 giugno, la notte era secca, e per l’antepiano l’8 giugno, soffiava un vento fortissimo.
Donato Renzetti ha guidato benissimo lo spettacolo, mantenendo gli equilibri tra buca e palcoscenico. E’ provetto a tali “avventure”. Ne ricordo una analoga, sempre con lui sul podio, alle Terme di Caracalla a Roma nel 2011. L’orchestra lo ha seguito molto bene.
I protagonisti erano interpreti di grande nome e di grande richiamo. Rigoletto era Leo Nucci che ha dimostrato ancora una volta di essere un cantante ed un attore che sa come presentare tutte le sfumature della parte. La Gilda di Barbara Bargnesi ha eccelso in Caro nome, aria che è un punto di transizione nella scrittura verdiana e che precorre La Traviata. Molti gli applausi a scena aperta. Nucci e Bargnesi, a grandissima richiesta dei 2.500 spettatori hanno bissato Sì vendetta, tremenda vendetta! al termine del secondo atto prima di gettarsi (senza interruzione) nell’impervio terzo atto. Antonio Gandìa è un Duca dalla voce generosa, timbro chiarissimo e squillo puro. Bravi Cristian Saitta (Sparafucile) e Martina Serra (Maddalena). Al Monterone di Gocha Abuladze gioverebbe giungere ad un registro ancora più cupo.