“Femminucce e fighette si lamentano di questa cosa. Nel folk e nel jazz, la citazione è una tradizione ricca e arricchente. E’ vero per tutti, tranne che per me. Ci sono regole diverse per me” disse nel 2006 Bob Dylan quando qualcuno aveva fatto notare che in alcuni testi di canzoni del disco “Modern Times” c’erano frasi “rubate” al poeta Henry Timrod, morto nel 1867. “Se pensate che è così facile citarlo e aiutare il tuo lavoro, fatelo voi e vediamo quanto lontano riuscite ad andare”, aveva aggiunto.
Bob Dylan copia? Sì, lo ha sempre fatto. Uno dei suoi dischi più famosi, quello che contiene Blowin’ in the Wind, “The freewheelin’ Bob Dylan” del 1963, non contiene una sola musica originale, sono tutti riadattamenti di brani della tradizione popolare anglo-americana. Masters of War ad esempio è Nottamun Town un brano folk inglese. E’ storia vecchia e arcinota a chi segue la musica, ovviamente meno per i professori universitari, gli indagatori in malafede (“Get a life” diceva Bob Dylan agli indagatori del significato delle sue canzoni, nel senso di “non avete niente di meglio da fare”), o gli editorialisti italiani tuttologi che al massimo conoscono le canzoni dei Cugini di campagna o di Lucio Battisti che cantavano sul pullman durante le gite scolastiche. Insomma, tutti coloro ai quali si rivolgeva già nel 1966 nella celebre Ballad of a Thin Man: “Sei stato in giro con i professori e hanno apprezzato il tuo look, con grandi avvocati hai discusso di lebbrosi e truffatori, hai letto tutti i libri di F. Scott Fitzgerald, sei molto isturito si sa, ma sta succedendo qualcosa e tu non sai cosa, Mr. Jones”.
Lo stesso Dylan lo ha fatto capire chiaramente intitolando un disco “Love and Theft”, amore e furto, del 2001, dove molti brani riprendono versi e frasi di uno scrittore addirittura giapponese.
Si chiama tradizione folk, prendere brani del passato e riadattarli. Vuoll dire anche avere una cultura enciclopedica, aver letto e ascoltato di tutto. Ovviamente c’è chi lo fa male, copiando e basta, e chi ne trae fuori capolavori riadattati così bene che in pratica risultano come nuovi. E’ il caso di Bob Dylan. E quanti hanno copiato malamente Bob Dylan nel corso dei decenni? Una milionata. Perché, come diceva Picasso, “Un bravo artista copia, un vero artista ruba”.
Un sito americano, Slate, ha scoperto che nel discorso che Dylan ha inviato nei giorni scorsi per l’accettazione del premio Nobel per la letteratura ci sono dei passaggi “copiati”, nientemeno che dai Spark Notes, riassunti online di romanzi. Un po’ come i famosi Bignami, quelli che chiamavamo “bigini” al tempo della scuola che offrivano riassunti di varie materie. Ma, accidenti, Dylan avrebbe copiato anche male, cambiando o inventando alcuni passaggi del Moby Dick.
Dylan cita esplicitamente una frase del romanzo attribuendola all’ufficiale di coperta Flask, spiegando: Some men who receive injuriesare led to God, others are led to bitterness. In Moby Dick, Flask non dice nulla di simile. Nella lista dei personaggi del romanzo presente in SparkNotes, fa notare Slate, si dice invece che Flask è someone whose trials have led him toward God rather than bitterness. Accidenti, la frase di Dylan è meglio dell’originale.
La cosa più divertente di questo finto scandalo è che Dylan ovviamente usa internet, è uno di noi. Non c’è nessuno scandalo infatti: quando si fanno delle tesi e si pubblicano dei saggi è normale attingere da altri testi o scritti anche involontariamente per creare altro. Dylan ha creato anche in questa circostanza “altro”. Non ha copiato, ha preso ispirazione e ha creato qualcosa di nuovo. Merita dunque un plauso doppio rispetto a quello già meritato per il bellissimo discorso.
C’è un editorialista, personaggio pure televisivo, moralista d’attacco, sempre pronto a accusare e punire tutto il mondo, che oggi ha sputato una rabbia così esagerata che manco stessimo parlando di Pol Pot e delle stragi in Cambogia.
E’ quello che tutte le mattino si fa il caffè su un noto quotidiano (senza manco offrirlo ai suoi lettori) che ha rischiato come già Baricco alla notizia che Dylan aveva vinto il Nobel, un infarto triplo per la rabbia che gli è esplosa dentro: uno scandalo! Vediamo con ordine le accuse di questo tribunale di Norimberga:
1. “Può capitare a tutti di copiare, nella vita. Tranne che a un premio Nobel per la letteratura, e proprio nella stesura del discorso che lo consacra tale”. E chi lo sa se altri non hanno copiato? Non lo sa Gramellini e non lo sa nessun altro.
2. “La sua orazione di ringraziamento per i parrucconi scandinavi che lo hanno preferito a gente come Philip Roth contiene frasi riprese di sana pianta dal Moby Dick di Hermann Melville. E neppure dall’originale, che almeno presupporrebbe lo sforzo di una rilettura, ma da un bignami agevolmente rintracciabile su Internet”. Ancora con “Bob Dylan non meritava il nobel ma il cugino di mia sorella sì?”. Suvvia, sia meno invidioso Gramellini, lei nella categoria dei Nobel lei non ci finirà mai, magari all’edicola di Fiorello sì.
3. “Ma nemmeno un uomo così presuntuoso da credersi Bob Dylan può clonare Moby Dick e pensare di farla franca. Nell’era del web, poi, dove basta un clic per incrociare qualsiasi testo. Più che leggerezza, una scelta del genere rivela sciatteria e menefreghismo. Però quanto è dura per certi eterni ragazzi degli anni Sessanta dovere ammettere che il loro idolo si comporta come Melania Trump”. A parte che nell’era “del web” lei non si era accorto di nulla, ci sono voluti gli americani per scoprire queste sciocchezzuole, siamo arrivati all’insulto rabbioso, mettere Bob Dylan a fianco di Melania Trump, il fastidio “per certi ragazzi degli anni 60”, cioè tutti quelli che non si sono integrati a fare i servi del sistema come certi editorialisti di punta? Bob Dylan avrebbe cercato di farla franca? Sciatteria e menefreghismo? Quanto odio. Ma niente di meglio di cui occuparsi?
4. “Il Maestro non copia. Riscrive. E se fosse pure lui un po’ cialtrone?”. Sicuramente cialtrone un po’ lo sarà, ma stia sicuro che non passa il suo tempo a sputare veleno contro il prossimo. Lui resterà nella storia, lei nelle copie del Corriere della sera che si usano per incartare il pesce.
Diciamo che Dylan, da buon rocker, probabilmente lo ha fatto anche apposta per mandare in tilt parrucconi universitari e editorialisti. E lo ha fatto con dignità, classe e bellezza. Insomma, da joker man quale lui stesso si è definito, vi ha preso tutti in giro, disseminando qua e là messaggi in codice che poi risultano anche meglio dell’originale. E’ il rock’n’roll Gramellini, un grande sberleffo al mondo e lei di rock’n’roll non ne sa niente. Uno che invece ha più serietà e formazione culturale, Roberto Brunelli, ha scritto in questi giorni: “La ‘lecture’ è l’orgoglioso manifesto della canzone come figlia diretta della musa omerica e quindi risposta beffarda a chi lo accusa di essere ‘solo’ un cantante. Dice Dylan che tutte le tradizioni che arrivano dalle viscere della terra sono il risultato di continui ‘furti’ di idee e immagini, in un gioco di specchi che è il fondamento di ogni mitologia. Come quella che il vecchio Bob ha creato intorno a se stesso: un ebreo errante nato Zimmerman che decise di chiamarsi Dylan, un profeta dei paradossi che ha saccheggiato da ogni fonte immaginabile, dalla Bibbia fino ai blues del Mississippi. Una crocevia di personaggi e invenzioni in cui certo non poteva mancare il tormentato Achab”.
Buon caffè, Mr. Jones.