“Smantellare la mitologia dell’America”: questo, per Bono, era almeno parzialmente il contenuto artistico di “The Joshua Tree”. Se davvero lo era, il risultato fu praticamente l’opposto.

Quando il quartetto irlandese si mette al lavoro per il disco che usciva oggi, trenta anni fa, è già un gruppo di successo anche in America, anche se non di proporzioni come lo diventerà dopo questo disco. 



Bono e soci provengono dalla scena punk di Dublino e la loro conoscenza delle radici della musica rock è talmente scarsa che quando Bono viene invitato a duettare con Bob Dylan nel brano Blowin’ in the Wind al suo concerto a Slane Castle nel 1984, è costretto a improvvisare le parole della canzone perché non ne consce manco mezza.



Sempre in quell’occasione ha la possibilità di passare del tempo in camerino con il cantautore americano che, da enciclopedia vivente della musica popolare anglo americana quale è, gli parla in modo appassionato di tanti artisti e gruppi della sua isola, accendendo in lui la voglia di andare indietro nel tempo e conoscere musiche e persone che hanno permesso al rock, e agli U2, di diventare quello che sono. 

E’ così che “The Joshua Tree” fin dal titolo e dalla copertina che si riferiscono alla zona desertica del sud degli Stati Uniti, anche con riferimenti biblici come piace a Bono in quanto la pianta che si vede nella foto è la Yucca brevifolia detta anche albero di Giosuè, diventa il viaggi di quattro irlandesi nel paese che accolse milioni di loro compatrioti e un tributo a tutte quelle storie che nel bene e nel male hanno fatto l’America. Come scrisse la rivista Rolling Stone alla sua uscita, “la bellezza selvaggia, la ricchezza culturale, il vuoto spirituale e la feroce violenza dell’America vengono esplorati per ottenere degli effetti di fatto in ogni aspetto di The Joshua Tree; già nel titolo e nelle immagini sulla copertina dell’album, il blues e il country si mescolano chiaramente nella musica”.



In parte critica alla politica imperialista dell’America reaganiana in centro America in brani come Bullett the Blue Sky, In God’s Country e Mothers of Disappeared, che gli U2 hanno modo di approfondire l’anno prima con la loro partecipazione a un tour mondiale di Amnesty International, in parte viaggio spirituale all’interno di sé stessi, “The Joshua Tree” è uno dei dischi più onesti e sinceri mai incisi. E con il successivo “Achtung baby” anche l’apice della loro ricerca musicale.

Ogni cosa è perfetta in questo disco, grazie anche al lavoro di due giganti del suono come Daniel Lanois e Brian Eno: le splendide dinamiche soniche della chitarra di The Edge raggiungono una capacità visionaria che lascia senza fiato; Bono è al massimo delle sue capacità vocali, la sezione ritmica implacabile e melodiosa allo stesso tempo. Quello che ne esce è un suono cosmico, circolare, visionario, capace di elevarsi fino alle vette del cielo, impetuoso e spirituale allo stesso tempo, dove ogni canzone evoca quel senso di mistero e di ricerca che alberga nel cuore di ogni uomo. 

E naturalmente le canzoni, dove i quattro raggiungono una maturità compositiva lasciando da parte certa istntività punk dei precedenti dischi, ammantandosi invece di raffinata bellezza, dove tra i solchi nonostante la chiara matrice rock, si avvertono profumi di gospel, di blues, di folk. Quelle radici americane a lungo cercate.

Buon esempio è la maestosa traccia iniziale. Racconta Bono: “Una storia interessante che mi raccontarono una volta è che a Belfast, a seconda della via dove qualcuno abita si può stabilire, non solo la sua religione ma anche quanti soldi guadagna: addirittura a seconda del lato della strada dove vive, perché più si risale la collina più le case sono costose. Puoi quasi dire quanto guadagna uno dal nome della strada dove abita e su quale lato della strada ha la casa. Questo mi disse qualcosa, e così cominciai a scrivere di un posto dove le vie non hanno nome”.

Uno splendido video di Where the streets have no name, che riprende l’idea del concerto dei Beatles sul tetto della Apple a Londra, viene registrato sul tetto di un edificio a Los Angeles durante il tour che seguirà l’uscita del disco, mentre i pedoni incantati bloccano il traffico obbligando la polizia a intervenire e fermare il concerto improvvisato. E’ il segno della popolarità raggiunta dalla band anche in America: adesso gli U2 sono i più amati al mondo. Ed è anche un grido alla libertà del rock, capace di fermare il traffico di una città come Los Angeles (in uno spezzone del film Rattle and Hum si vedrà in un’altra occasione analoga Bono scrivere su un muro “Rock’n’roll stop the traffic”).

La successiva I Still Haven’t Found What I’m Lookin’ For che in una occasione, come documentato nel disco live Rattle and Hum, viene eseguita con l’accompagnamento di un coro gospel, è un brano di profonda ricerca spirituale, quella che ha sempre caratterizzato Bono.

Il disco contiene poi la più delicata e intensa canzone d’amore scritta dal gruppo, l’ipnotica With or Without You, dove si intrecciano una storia d’amore e domande sul credere in Dio.

L’hendrixiana Bullet the Blue Sky, dove la chitarra di The Edge esplode con forza distruttiva, esprime tutta la rabbia per le stragi delle dittature fasciste sostenute dagli Stati Uniti in paesi come El Salvador.

C’è spazio anche per una riflessione sull’Inghilterra thatcheriana, sconvolta dai provvedimenti economici disumani del premier inglese in Red Hill Mining Town con la chiusura di tante miniere e la perdita del lavoro di migliaia di persone.

Il successo mondiale del disco, a tutt’oggi ha venduto circa trenta milioni di copie al mondo, 10 milioni solo negli Stati Uniti, consacra definitivamente gli U2 come la “band” degli anni 80. Il disco vincerà il Grammy come miglior album dell’anno e quello per la miglior performance di un gruppo rock. Nel 2001 risulterà curiosamente  il sesto album nella lista dei migliori dischi di “Musica Cristiana Contemporanea” di tutti i tempi della rivista CCM Magazine

Finita “la scoperta” dell’America, gli U2 si concentreranno su una avventura altrettanto affascinante, cosa resta dell’Europa dell’est, in particolare di Berlino, dopo la caduta del muro. Il risultato sarà l’ultimo grande disco di Bono e compagni.

Per l’occasione di questo trentesimo anniversario esce una versione speciale ricca di materiale: oltre alle 11 tracce dell’album originale, l’edizione super deluxe includerà anche registrazioni live del concerto del The Joshua Tree Tour del 1987 al Madison Square Garden, rarità e B-Sides dalle sessioni originali di registrazione dell’album.

Nell’edizione deluxe ci saranno inoltre remix di Daniel Lanois, St Francis Hotel, Jacknife Lee, Steve Lillywhite e Flood e un libro di 84 pagine con foto inedite scattate da The Edge durante la sessione fotografica del 1986 nel Mojave Desert.