A Lipsia (circa 500.000 abitanti ad un’ora e mezzo da Berlino) sono in corso due festival: uno dedicato a Bach nel quadro delle celebrazioni luterane, ed uno a Richard Strauss. Soffermiamoci su quello straussiano: in un fine settimana vengono presentate tre opere dirette dallo stesso concertatore Ulf Schirmer (noto in Italia per la sua frequente presenza alla Scala): “Arabella”, “Salome”, e “La Donna Senz’Ombra”. Si tratta di un vero e proprio tour de force. Tranne il secondo, sono titoli poco rappresentati in Italia, quindi mi soffermerò su il primo ed il terzo. ‘Arabella’ manca dalle nostre scene da oltre un quarto di secolo, mentre nell’ultimo trentennio ‘La Donna senz’Ombra’ si è vista in due produzioni differenti alla Scala ed in due a Firenze.



Cominciamo con Arabella. Nel febbraio 1992, recensendo l’ultima messa in scena in Italia di “Arabella” (alla Scala –  alcune rappresentazioni nell’ambito di una tournée dell’Opera di Monaco di Baviera), l’allora critico musicale del “Corriere della Sera” Duilio Courir parlò di “incanto dell’amore”. Un qualificativo azzeccato, mentre ancora oggi c’è chi scrive, a proposito di questa magnifica commedia lirica, “il bazar sublime di ogni possibile ed impossibile impegno vocale” (come scrisse Fedele D’Amico), parla di Sklerosenkavalierove non di Prostatenkavalier



Non mancano alcune assonanze con il Rosenkavalier (che la precedette di un quarto di secolo). Richard Strauss era quasi settantenne quando, dopo un lungo periodo di gestazione e la morte del poeta-librettista-coautore (Hugo von Hofmannsthal) la “commedia lirica in tre atti” andò in scena a Dresda nel 1933. Ciò non toglie che “Arabella” è forse la commedia in musica più deliziosa del Novecento, indubbiamente quella che meglio tratteggia l’innamoramento di un quarantenne per una ventenne in un contesto storico di crisi politica ed economica (l’Austria battuta dalla Prussia nel 1866 nel libretto, la composizione e la messa in scena negli “anni difficili” 1928-1933).



La vicenda è a mezza via tra nostalgia e commedia dei sentimenti. La storia è quella di una famiglia nobile sull’orlo della bancarotta che, nella Vienna degli anni immediatamente successivi alla guerra austro-prussiana (periodo, quindi, di incertezza politica e di dissesti finanziari non troppo distanti dai nostri anni, non solo dell’epoca quando venne concepita), gioca le ultime carte puntando su un buon matrimonio della figlia Arabella per salvare una situazione assai compromessa. 

Per questa ragione la sorella più giovane, in attesa che un ricco cavaliere si presenti per Arabella, è costretta a vivere travestita da ragazzo. Nasce in questo modo l’equivoco sul quale si fonda lo svolgimento degli accadimenti scenici; uno svolgimento da teatro leggero, trattato, con grande eleganza, dalla penna di Hofmannsthal, si conclude con un lieto fine. 

Il cavaliere, Mandryka, è un maturo gentleman from overseas, ricco possidente (non solo terriero ma anche industriale) di quella Croazia allora considerata dai viennesi come ai confini del malmesso Impero. Arabella ha corteggiatori tra aristocratici più o meno spiantati (cantati da un tenore, un baritono ed un basso) della capitale. L’amore con il croato Mandryka è a prima vista.

Viene turbato da equivoci a proposito del giovanotto (in effetti, la sorella di Arabella travestita). Ma si risolve tutto in dolcezza. E con una musica del tutto nuova ed innovativa (per un settantenne, senza dubbio in pieno vigore): un organico ristretto, addio per sempre ai wagnerismi (a cominciare dai Leitmotif), nessuna concessione alla dodecafonia, una scrittura come detto acutamente Mario Bortolotto nel suo saggio su Strauss, fatta di “schegge e tessere sonore” che “scorrono, riapparendo in momenti del tutto imprevedibili” in cui anche i ritmi di danza (valzer lento, polacca, valzer brillantissimo) hanno una funzione importante.

L’edizione vista ed ascoltata a Lipsia – il cui teatro d’opera presenta ogni anno circa 40 titoli di lirica e 10 di balletto ed ha un tasso medio di riempimento del’80% – ha debuttato nel giugno 2016 e si prevede verrà replicata per una decina di anni. La regia è di Jan Schmidt-Garre, le scene di Heike Scheele ed i costumi di Thomas Kaiser. Nell’immenso palcoscenico, sei elementi scenici (ciascuno con praticabili) mostrano varie parti dell’albergo che si ricompongono in un’unica unità nella scena finale. L’epoca non è certo il 1868. Si potrebbe essere negli Anni Ottanta del Novecento dati i costumi e le caratteristiche dell’albergo – come le luci al neon ed il mobilio dell’albergo che potrebbe essere l’Hotel Berlin sulla Unter den Linden, luogo storico sia perché frequentato dagli alti papaveri della Repubblica Democratica Tedesca sia perché pieno, ad ogni angolo, di microspie. Potrebbe essere anche un luogo imprecisato dell’Europa del malessere di questi anni.  La via d’uscita è “l’incanto dell’amore”; in questa, come in altre opere (“Elena Egizia”, “Intermezzo”, “La Donna senz’Ombra”, “L’Amore di Danae”), per Strauss il solo incanto possibile è quello dell’amore coniugale.

Sul podio, Ulf Schirmer guida l’orchestra della Gevandhaus una cooperativa di musici, che risale al Medioevo e dispone anche di un auditorium per la sinfonica. E’ una delle formazioni migliori d’Europa e sfoggia la sua perizia con gli intrecci della difficile scrittura orchestrale. Impossibile citare tutti i 17 solisti. Arabella è l’americana Betsy Horne, da anni in Germania dove canta “Der Rosenkavalier” nei maggiori teatri di Berlino; voce calda, passionale ma anche dolcissima. Mandryka è il baritono di agilità Thomas Mayer. Grandissimo il loro duetto finale. Tra gli altri, spicca il mezzo soprano, Olena Tokar, applauditissima nel ruolo en travesti della sorella più giovane di Arabella, Zdenka, vestita da ragazzo adolescente, ma in piena esplosione ormonale; ne sa qualcosa Matteo, Markus Francke, unico tenore di rilievo della serata. Il Conte Waldner, che vuole risolvere i suoi problemi finanziari dando Arabella in sposa, è un grande nome del teatro musicale tedesco, Jan-Hendrik Rootering ma la sera del 16 giugno era corto di volume.