Il monopolio, qualunque sia, fa sempre male. Fa male alla libertà, fa male all’economia, fa male all’imprenditoria. Non è un caso che il monopolio sia stato la base di tanti regimi, come quello fascista, che con la legge 633/1941 sul diritto d’autore, dava vita alla Società italiana autori ed editori, a cui chiunque producesse una canzone, un testo, un manoscritto, un’opera teatrale, doveva obbligatoriamente iscriversi non solo per vedersi riconosciuta la paternità d’opera, ma per ottenere i soldi sui diritti, ogni qualvolta ad esempio una canzone venga passata alla radio o alla televisione. Col tempo questo monopolio sull’arte è diventato il classico elefante burocratico italiano, incapace di gestire l’enorme mole di iscritti attualmente 85mila con 45 milioni di opere, andando costantemente in perdita e pagando in ritardo anche pesante gli autori. Nel 2014 il conto operativo della Siae era in perdita di 46 milioni di euro. Il bilancio riportava debiti per oltre 900 milioni di euro nei confronti dei detentori dei diritti. Il monopolio di cui gode ancora oggi la Siae, costa allo stato 13,5 milioni di euro, per costi di personale inutile, immobili di altissimo pregio etc.
E’ un caso tipicamente italiano, retaggio di una mentalità statale centralista: nei paesi anglosassonii non esistono monopoli del genere e le società di autori ed editori sono innumerevoli. E’ così che nel 2011 nasce a Londra da due imprenditori italiani Soundreef, nel 2015 acquistata da Soundreef Spa fondata invece in Italia. Svolge la stessa attività della Siae: pagamenti diritti d’autore in radio e televisione, online, diritti meccanici (da disco), tutela dal plagio, eventi live.
Il primo artista italiano che lascia la Siae per passare a Soundreef è Fedez, nel 2016 gli iscritti sono circa 16mila. La differenza sostanziale è che a differenza della Siae dove bisogna pagare l’iscrizione, quella di Soundreef è gratuita. Per iscriverti alla Siae bisogna poi sostenere esami appositi (a pagamento), pagare per depositare un brano e per il locale dove si svolge un concerto per il proprietario il costo è la metà con Soundreef. Alla fine il guadagno per un artista è irrisorio e ormai da anni arriva non si sa quando. La Siae poi fa pagare i diritti anche ai concerti di beneficenza, pratica davvero vergognosa. Se però sei iscritto Soundreef, dopo ogni concerto se hai eseguito brani di un artista Siae li devi pagare.
E’ qui che nasce il pasticiaccio Fedez, i cui brani sono firmati da innumerevoli autori quasi tutti iscritti alla Siae. Non basta passare a un’altra società dei diritti, devi continuare a pagare anche la Siae, in questo caso giustamente.
Ma il pasticiaccio più grave è stato recentemente quando dopo un concerto di Fedez gli organizzatori avevano pagato la Siae, senza tener conto che Fedez è iscritto a Soundreef. Lo hanno fatto sostanzialmente per ignoranza e per la confusione che regna al proposito in Italia. Oggi però il tribunale di Milano ha dato ragione al rapper milanese, obbligando l’organizzatore a pagare anche Soundreef.
Detto questo l’Antitrust ha anche aperto una indagine sulla Siae per abuso di posizione dominante, ma nulla è cambiato. “La direttiva europea è di armonizzazione tra i vari Paesi Ue, non di liberalizzazione”, ribadisce il presidente della società. Perché? Ovvio, ci guadagna anche lo stato italiano a società che operano in regime di monopolio.
La replica di Soundreef: “Continuiamo a confidare nell’Antitrust che ha appena aperto un’istruttoria per abuso di posizione dominante nei confronti di Siae e nella Commissione Ue, che secondo diverse fonti, starebbe per avviare una procedura di infrazione contro il governo italiano proprio in merito all’esigenza di garantire libertà nel mercato dell’intermediazione dei diritti d’autore. Questa decisione del Tribunale di Milano, dunque, è solo un primo passo nella direzione auspicata”.