Tosca’ è opera ‘romana’ per eccellenza. Non solo si volge in tre luoghi topici di Roma (la Chiesa di Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo) nei giorni della battaglia di Marengo (14-15 giugno 1800). E’ opera ‘romana’ anche in quando debuttò nella Capitale il 14 gennaio 1900, e con essa nacque il ‘dramma in musica’ italiano del Novecento  proponendo un libretto serrato (di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica) ed una originalissima scrittura orchestrale. Ogni anno al Teatro dell’Opera si propongo alcune recite ‘fuori abbonamento’ con scene e costumi modellati sugli originali del gennaio 1900. E’ anche spesso presente nella stagione estiva alle Terme di Caracalla, dove a 12 anni vidi ed ascoltai  Tosca per la prima volta in una sera in cui serata con Renata Tebaldi e Mario del Monaco nei ruoli principali.



Dopo alcuni anni di assenza dalle Terme Tosca è tornata nel grande teatro all’aperto nelle rovine imperiali di Roma. Non è una nuova produzione ma una ripresa di un’edizione di quattro anni fa. Ho assistito alla quarta replica (ne sono previste otto sino all’8 agosto). Teatro gremitissimo in ogni ordine di posti.



Interessate, come scrissi quattro anni fa la regia. Dopo avere trasportato alla fine degli Anni Trenta, Cavalleria Rusticana ed Il Gattopardo, Pier Luigi Pizzi porta nello stesso periodo anche Tosca. Ciò presenta alcuni problemi. In primo luogo, Sardou (ed ancor meglio di lui Giacosa ed Illica che ne hanno ridotto il dramma da cinque a tre atti, eliminando episodi e personaggi secondari) pongono una datazione precisa per le 18 ore in cui si svolge l’intreccio: il 16 giugno 1800, quando la mattina giunse a Roma la notizia che a Marengo la ‘coalizione’ guidata dall’Austria, aveva sconfitto l’armata di Napoleone, si approntarono festeggiamenti, ma verso le 22 si apprese che il Bonaparte aveva disfatto gli avversari e si apprestava a conquistare il resto d’Italia. Se Floria Tosca avesse avuto uno smart-phone, l’equivoco non ci sarebbe stato e Scarpia si sarebbe tolto l’orbace e il vestito un doppio petto, sarebbe stato alle prese con bruciare carte e darsi alla fuga piuttosto che tentare un’ultima conquista violenta. 



In secondo luogo, già Jonathan Miller, Peter Sellars e Robert Carsen hanno ambientato Tosca in epoca fascista (quindi, non si tratta di una novità) ma hanno scelto gli ‘anni dello squadrismo’, quelli del ‘delitto Matteotti’, mentre i costumi, soprattutto femminili dello spettacolo di Pizzi, fanno intendere che l’azione si svolge è nel 1935-37, quelli chiamati da De Felice, da Parlato e da tutta una scuola di storici ‘gli anni del consenso’ quando l’Italietta pensava di essere diventata un Impero. Allora, non si torturava ma si cercava di accattivare anche intellettuali ‘dissidenti’, si creava la biennale di musica contemporanea a Venezia (invitando numerosi musicisti esiliati dalla Germania) e al Teatro dell’Opera si rappresentava Wozzeck di Alban Berg, proprio per irritare il dicastero della cultura di Berlino. Scelta errata, nonostante l’elegante struttura scenica ed i bellissimi costumi. Il pubblico, però, non è composto di storici. E soprattutto a differenza della Turandot vista a Macerata, e recensita il 16 luglio su questa testata), questa Tosca è fedele al libretto ed alla musica.

Per la parte musicate, essenziale notare un netto miglioramento della concertazione rispetto a quattro anni fa (quando Renata Palumbo era sul podio). Questa volta, con la bacchetta Donato Renzetti, l’orchestra ha dato il meglio di sé e dimostrato di essere una vera ‘Signora Orchestra’ rispetto a quelle di Macerata e di Torre del Lago. Non ha scansato nessuna delle difficoltà della ardua partitura pucciniana, dando colore e calore a questa stupenda orchestrazione, al sinfonismo continuo anche quando sul palcoscenico vengono cantati ‘pezzi’ che possono sembrare ‘chiusi’. L’orchestra dimostra che Tosca è la  partitura più wagneriana di Puccini con l’uso di leit-motifs non solo in riferimento a persone, oggetti, situazioni ma anche per comunicare al pubblico informazioni su sentimenti e pensieri non espressi apertamente.

Eccellenti i tre protagonisti: Tatiana Serjan è una Floria Tosca vibrante anche nei ‘pianissimi’ di Vissi d’Arte e grande attrice nel terzo atto quando insegna a Cavaradossi come recitare sino alla struggente scoperta della verità. Giorgio Berrugi è un giovane tenore generoso che, partendo dal bel canto donizettiano, affronta con scaltrezza i ruoli pucciniani. Roberto Frontali è un veterano nel ruolo di Scarpia.

Applausi a scena aperta dopo Rocondita Armonia, Vissi d’Arte ed E Lucean le Stelle,

Grande successo al termine della rappresentazione.