I Discepoli dell’Anima, mai nome fu più appropriato. Fiati, percussioni, chitarre, basso, batteria, tastiere e tre bravissime coriste di colore che danzeranno tutta la notte in un miscuglio di suoni che è la via del peccato puro, la redenzione tanto non ci interessava.
Di anima ne abbiamo vista e sentita parecchia a Pistoia, nonostante un’acustica penalizzante.
Una gran bella band che rende giustizia a un Little Steven in stato di grazia che entra accolto da un’ovazione anche se il pubblico non era quello dei grandi numeri però era certamente quello appassionato alla grande musica. Entra come uno sciamano e mette subito in chiaro come andranno le cose, Soulfire è proprio subito fuoco soul come non si sentiva da tempo, un muro di emozione che ti si spacca addosso.
Potrebbe essere anche un’altra epoca e invece è il 2017 e chi l’avrebbe detto di assistere ad una festa Rock’n’Roll così vera e sincera.
E’ il 4 luglio, una festa importante per gli Americani, è il 4 luglio di un periodo in cui il mondo va a rotoli e lo sa Little Steven, ce lo fa notare spesso, ci promette sballo tutti insieme e un tuffo nella tradizione americana e la promessa la mantiene tutta.
“Mike Bloomfield era uno dei miei eroi” e attacca una Groovin’ Is Easy degli Electric Flag totalmente inaspettata, quello era un gran disco, forse sconosciuto ai più, grande versione, per me un enorme piacere sentire che questo disco è rimasto nel cuore di qualcun’altro, chi l’avrebbe detto.
Il giaccone sparisce quasi subito e restano sciarpa, bandana, mille collane e qualche ciondolo da rito voodoo, anche perché Steve Van Zandt ha bisogno di libertà per tagliarci un po’ le budella quando parte con gli assoli, una gran goduria, chitarrista fuori dagli schemi che si mangia in un sol boccone tutti i Morello del mondo e fa vedere chi diavolo è un piccolo Stefano se gli si lascia fare il suo lavoro.
Love On The Wrong Side Of Town e Until The Good Is Gone sono un’accoppiata micidiale, sparate così una dietro l’altra, due classici in tutti i sensi, bellissime, la band ha il tiro giusto coi fiati che innalzano il tasso di calore e scaraventano in faccia tutta la potenza dell’Asbury Sound, l’amore sarà anche dalla parte sbagliata della città ma stasera siamo tutti da quella parte, ci trascina a forza lì dove tutto è iniziato.
Angel Eyes sempre eccitante e Standing In The Line Of Fire (scritta per Gary US Bonds “è sempre lì fuori a rockeggiare, andatelo a vedere se potete”) con lo splendido omaggio a Morricone come introduzione.
In più di due ore di concerto si sono ascoltati classici e non, una parte centrale leggermente in calando ma poi basta una stupenda Princess Of Little Italy con mandolino e fisarmonica a rimettere tutto al posto giusto, I Am A Patriot che fa cantare tutti, Ride The Night Away, gli omaggi a Howlin’ Wolf (Killing Floor) e James Brown (Down and out in NYC) e il finale con la stupenda Forever.
I Discepoli sono tutti schierati a bordo palco e non ci vuole poi molto per i bis, una delle mie canzoni preferite in assoluto è I Don’t Want To Go Home, anche se la versione di Southside Johnny è inarrivabile stasera l’autore di quel gran pezzo sfodera l’ugola giusta e ci manda davvero a toccare il cielo, le mani si alzano e in quei pochi minuti ti libera di tutte le rotture di coglioni della vita quotidiana, sappiamo tutti da dove veniamo ma a casa non ci vogliamo tornare, si sta bene lì nel grande cerchio sacro della musica.
Arrivano due ospiti, il tastierista di Bon Jovi (molto bravo e sempre in parte) e quello che mi dicono essere il chitarrista dei Cheap Trick che più che suonare la chitarra tira plettri ovunque e fa un po’ il clown della situazione.
Il finale comunque è la festa Rock’n’Roll di Bye Bye Johnny di Chuck Berry e il saluto Soul Rock della bella Out Of The Darkness coi soli Discepoli dell’anima che ci hanno davvero trascinato per una sera fuori dall’oscurità.
Un concerto totale, non importa quanti fossero i paganti, c’erano tanti amici che è sempre un gran piacere incontrare ed era il primo concerto che ho visto insieme a mia figlia Chiara.
Una notte da ricordare, non abbiamo più bisogno del futuro del Rock’n’Roll né tantomeno degli stadi, abbiamo bisogno di serate in una bellissima piazza italiana dove qualcuno ci fa ricordare chi siamo e da dove veniamo, dove il nostro spirito viene preso per mano e centrifugato, dove le canzoni contano sopra ogni altra cosa e dove un solo di chitarra ti fa ancora venire i brividi della fuga.
Little Steven ringrazia, si batte la mano sul cuore e saluta e ti rispedisce là fuori, nella notte e nella vita di tutti i giorni, con le orecchie che fischiano sull’autostrada deserta mentre canti nella tua testa e tua figlia dorme sul sedile accanto.
“Stasera celebriamo la vita”, grazie fratello per la sincerità, così è stato.
(Luca Rovini)