“Cresciuto a pippe & Vasco”: è quanto scritto in uno striscione che uno dei 220mila di Modena Park ostenta orgogliosamente in una foto dell’evento. Chissà cosa intendeva con quella frase, ma sinceramente non viene neanche voglia di saperlo.

Il fatto che la musica, gli eventi musicali, siano ormai un momento per il quale dire “io c’ero”  vale più della musica stessa  forse dà un senso a quella frase.



In una estate, quella del 2017, che passerà alla storia come quella (forse) con la maggior concentrazione di festival, ci si ricorderà soprattutto della disastrosa organizzazione di quello di Monza documentata da migliaia di presenti (location lontanissima dai parcheggi pagati a cifre pazzesche – anche 40 euro; disorganizzazione nella gestione dei punti vendita bevande e cibo arrivando anche alla mancanza di acqua sufficiente per tutti; prezzi da rapina con l’uso di un sistema di pagamento, l’ormai tristemente noto token, che ha peggiorato tutto). Ma anche i bagni a pagamento a Firenze Rocks resteranno tra i ricordi di una estate in cui pubblico avrebbe meritato ben altro trattamento. Per non parlare della tanto ostentata “sicurezza” sbandierata da ministri e questori: all’uscita dei festival frequentati dal sottoscritto, ad esempio Firenze, non c’era alcun agente e chiunque si sarebbe potuto avvicinare alla massa di migliaia di persone in uscita e farsi esplodere. La battaglia della sicurezza l’abbiamo vinta noi, pubblico, questa estate, esponendoci a nostro rischio e pericolo alla nostra passione, la musica. Ed è stata una bella dimostrazioen di coraggio.



La musica, almeno quella, c’è stata e di alto livello: dai Radiohead a Eddie Vedder, da LIttle Steven agli Aerosmith ai System of a Down da Ani Di Franco a Billy Bragg.

La cultura del festival è qualcosa che manca ancora in Italia, nonostante l’egregio tentativo della Barley Arts nell’estate del 1994 che fece suonare a Milano praticamente il cast che si sarebbe esibito un mese dopo in America al 25esimo anniversario di Woodstock. L’incredibile flop di pubblico in quella occasione appare ancor più incredibile alla luce degli eventi di questa estate 2107, su tutti l’oceanica folla dei 220mila al Modena Park per Vasco Rossi, o i quasi 50mila per un Eddie Vedder totalmente solo sul palco. 



Festival? Siamo sicuri che questa sia la definizione giusta?

In Italia questi che ci sono stati non sono festival. Sono eventi dove si alternano vari artisti in un’unica location, ma non c’è una vera e propria continuità, una programmazione unitaria che tenga presente l’evento nel suo complesso. 

Questo è invece quello che accade all’estero. Un esempio solo: c’è gente che tutti gli anni prende il biglietto del Primavera (in Spagna) a scatola chiusa, molti mesi prima che annuncino la line up. Lo stesso fanno molti altri, in molti altri festival. Vedi Glanstonbury, che va sold out in quaranta minuti, ben prima dell’annuncio degli artisti.

Questo perché è il marchio che è garanzia di qualità, chi ci va ci va per il posto, l’organizzazione, l’atmosfera, ma anche perché sa che ci saranno sempre gruppi che varranno il prezzo del biglietto. In Italia non è così: chi prenderebbe mai in anticipo un biglietto per il Firenze Rocks visto che all’ultimo momento ci si trova sul palco “DJ Ringo”? Il fatto che non sono festival si vede anche dal fatto che non vendono mai abbonamenti. Del resto, chi li comprerebbe?

In Italia sono pochissime le persone che andrebbero a vedere sia Eddie Vedder che i System of a Down. C’entra molto anche la nostra scarsissima curiosità musicale. Normalmente, ci si muove per l’headliner. Tutti gli altri sono “i gruppi spalla”. James Blake è famosissimo (all’estero) ma a Monza non lo conosceva nessuno. Quando a Firenze si esibiva lo straordinario Glen Hansard la gente si faceva i fatti suoi chiacchierando del più e del meno. Ci sono delle eccezioni per fortuna: il MIlano Summer Festival, il Siren (Vasto), il Beaches Brew (Ravenna) e l’Ypsigrock (vicino a Palermo). 

Ma quello che manca è un amore per la musica e quanto significa anche dal punto di vista culturale.

Esce in questi giorni un libro molto affascinante del fotografo inglese Sam Knee che raccoglie testimonianze e fotografie del paese che ha in Europa la massima cultura in fatto di festival, l’Inghilterra, con eventi come l’Isola di Wight, Reading e Glastonbury, dal 1973 a oggi.

Quest’ultimo è l’vento che ormai richiama il maggior numero di persone, oltre 200mila ogni anno, compresi vip e starlette della moda, e dove tutto è organizzato nel minimo dettaglio, anche le tende deluxe, tutto estremamente ad alto prezzo ovviamente. Il libro vuol proprio sottolineare come sia andata perduta quella controcultura che era il motivo fondante di questi eventi, festival per un lungo periodo addirittura gratuiti, associati con movimenti politicamente impegnati, come quelli anti globalizzazione o le armi nucleari.C’è una immagine che contrasta in modo così significativo con il cartellone delle pippe visto a Modena, dal festival di Bath del 1970, che recita soltanto: “Fate amicizia”.

Scrive Sam Knee nell’introduzione al libro: “Con le loro radici profondamente inserite nella storia popolare inglese, i festival musicali erano al centro dei movimenti di controcultura degli anni settanta e ottanta”. Aggiunge: “Si trattava di luoghi di culto multiculturali, dove i fan e le tribù giovanili si riunivano e si mescolavano tra loro, condividendo cibo, droghe e ideali, connettendosi con il passato (gli eventi di musica popolare inglese hanno una tradizione antichissima, nda) e cercando di catturare scorci di un futuro possibile, uniti al servizio della gioia sotto al cielo aperto”, arrivando a definirli una “nuova Gerusalemme” che per un periodo limitato prendeva esistenza in Inghilterra.

“L’eredità dei festival di un tempo dovrebbe essere una ispirazione per i giovani di oggi per alzarsi e combattere attraverso la protesta pacifica per un futuro più luminoso”.

Difficile, molto difficile che possa accadere. Quei tempi sono finiti per sempre, stramazzati sotto il peso di ideologie che cercavano di prendere possesso della spontaneità giovanile e delle multinazionali che si sono impossessati anche dell’acqua da bere.

E noi in Italia? A noi restano ill camioncino dei polli assalito dal pubblico affamato al festival del Parco Lambro nel 1976 e le “pippe” e i reggiseni lanciati sul palco di Vasco Rossi (naturalmente firmati da una nota azienda di moda).