Un obiettivo di fondo del Rossini Opera Festival (Rof) è riportare alla luce opere del grande compositore pesarese non più messe in scena. E’ il caso di Torvaldo e Dorliska, composta nel 1815 per il Teatro Valle di Roma, rappresentata con una certa frequenza sino al 1840 e successivamente riascoltata unicamente in un concerto Rai diversi anni fa. Nel 2006 è stata ripresa a Pesaro in una coproduzione con il San Carlo di Napoli dove è andata in scena nel 2007. Che io sappia, non ci sono state altre esecuzioni. L’opera nasce nel 1825 al Teatro Valle di Roma. Nella prima metà dell’Ottocento ebbe una modesta circolazione in teatri prevalentemente dell’Italia Centrale. Poi lungo silenzio sino al 2006. E’ la terza produzione del Rof 2017.



Appartiene al genere semi-serio (o di “opere a salvataggio”) in voga tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Vicende truculente venivano intercalate con momenti comici sino all'”arrivano i nostri” finale. Torvaldo e Dorliska sono appena sposati. Sulla fanciulla ha messo gli occhi il sadico e lussurioso tirannello Duca di Orlow. Tenta di ucciderne il marito e riesce ad imprigionare la ragazza per possederla. Al termine di un’arzigogolata vicenda, una rivolta di contadini ed artigiani, incitati dal custode del Castello (Giorgio), salva i “nostri” e consegna il Duca ad un giusto processo. Ad un mediocre libretto si aggiunge una partitura affrettata con molti spunti sviluppati in opere successive (quali Il barbiere di Siviglia e La cenerentola). Buoni i concertati, i duettini e la cavatina (aria di introduzione) di Torvaldo. Nel complesso, siamo lontani dai capolavori rossiniani: raschiando il fondo del barile, non sempre è oro quel che pare luccicare.



Mario Martone, che nel 2006 era anche direttore della programmazione del San Carlo, tenta di dare coerenza al libretto e spessore psicologico agli improbabili personaggi (il più credibile è proprio il cattivissimo Duca). Riesce a creare l’atmosfera di un nordico dramma gotico. Buona la giovane orchestra sinfonica Rossini diretta da Francesco Lanzillotta: lavora con dignità su materiale modesto in quanto è evidente che il 23enne Rossini all’orchestrazione non dava peso e forse la subappaltava a colleghi in bolletta. In Torvaldo e Dorliska la funzione dell’orchestra è principalmente di supporto all’acrobatica vocalità.



Caratteristica delle opere semiserie (Cherubini, Donizetti, e gli stessi Beethoven e Wagner si cimentarono in questo campo) è l’ardita scrittura vocale in quanto composte spesso su misura per cantanti di moda. L’edizione del Rof 2017 conferma le capacità di Dmitry Korchak (Torvaldo), un tenore di bell’aspetto ma non più giovanissimo che ha saputo e sa gestire molto bene la propria voce dal timbro chiaro in grado, con pari delicatezza, di scendere a tonalità gravi (quasi baritonali) e di ascendere a “si naturali”: ha meritato applauso ed ovazioni a scena aperta. L’avvenente Salome Jiacia (Dorliska) funziona bene nei duetti e concertati e pure nell’aria del secondo atto ed affronta bene l’agilità dell’ardua “cavatina”. Simone Alaimo è un Duca crudele più verdiano che rossiniano; primeggia nel finale (dove dà sfoggio alla coloratura). Carlo Lepore (Giorgio) è sempre lo stesso basso buffo. Quale che sia l’opera che interpreta.

Molti applausi, soprattutto alle voci.