Ogni anno il Festival Estivo di Salisburgo presenta un’opera contemporanea. A volte, come nel 2016, è una prima mondiale (The Exterminating Angel di Thomas Adès). A volte di autore vivente di grande successo. Quest’anno, in linea con un festival il cui tema è la “panoplia del potere”, la scelta è caduta su Lear, un lavoro (anzi un capolavoro) di Aribert Reimann, composta su impulso del baritono Dietrich Fischer-Dieskau e andata in scena, con grande successo, al Teatro Nazionale di Monaco nel 1978. L’opera viene rappresentata di frequente in Germania (si ricorda una bella produzione a Francoforte una decina di anni fa – ne è stato registrato un ottimo CD), nonché in altri Paesi dell’Europa centrale e orientale e negli Stati Uniti. Non credo sia stata mai messa in scena in Italia, nonostante si presti bene a un’inaugurazione di stagione (un solo intervallo, circa due ore e mezzo di spettacolo).



Giuseppe Verdi tentò più volte di tradurre in opera la tragedia di Shakespeare Re Lear. Dovette desistere perché non trovò mai un librettista in grado di trasformare in melodramma cinque atti densi di intrecci secondari e di numerosi personaggi. In Verdi, l’immagine del Re generoso, ma abbandonato da tutti o quasi, costretto a morire in solitudine era un tema centrale di una poetica che produsse Simon Boccanegra, I Due Foscari e Don Carlo.



Molto abile il librettista di Reimann, Claus H. Henneberg. I cinque atti (e le oltre quattro ore di spettacolo) vengono ridotti in due, abolendo gli intrecci secondari e scarnendo il testo del Bardo di Sradford-upon-Avon. Il dramma in musica ha due temi di fondo: la solitudine della stessa generosità e la brama per il potere (che porta i protagonisti a distruggersi a vicenda). Su tutto incombe un verso tristissimo di Shakespeare Quando un bambino viene partorito piange/ perché sa che arriva nel palcoscenico del mondo. Una visione cupa in cui anche i migliori (come Cordelia) vengono puniti dal fato. Non è un caso che l’opera si chiami Lear non Re Lear. Reimann considera il personaggio Shakespeariano il simbolo di ciascuno di noi. Come lo Jedermann che nel 1920 inaugurò il Festival Estivo di Salisburgo e che da allora viene replicato nella piazza del Duomo circa 15 volte a ciascuna edizione della manifestazione. C’è una differenza profonda: mentre Jedermann, di fronte alla morte trova la Fede in Dio, nel mondo di Lear non c’è spazio per il trascendente.



Nel 1978, Reimann non doveva certo seguire le regole del “melodramma” che impedirono a Verdi di comporre il “suo” Re Lear. Lear è teatro in musica con una smisurata orchestra (le percussioni sono in un palco nel lato dell’enorme palcoscenico) e una scrittura vocale basata sul declamato che si scioglie in ariosi, concertati e anche arie di bravura per contro-tenori. Bravissimi i Wiener Philharmoniker diretti da Franz Welser-Most nell’eseguire la complessa scrittura orchestrale di Reimann che, ecletticamente, incorpora varie tendenze della seconda metà del Novecento dando enfasi ai vari gruppi di strumenti e inserendo nel clima cupo del dramma momenti di squisita tenerezza (gli intermezzi orchestrali, il finale in pianissimo).

La vicenda, attualizzata ai giorni nostri viene rappresentata su una pedana; piena di erbe e fiori nella prima parte, nuda e spoglia nella seconda. L’allestimento scenico (regia di Simon Stone, scene di Bob Cousins, costumi di Mel Page) non ha convinto tutto il pubblico: cosa insolita per Salisburgo, agli applausi al calar del sipario si sono aggiunti sonori fischi quando è apparso il team creativo.

Tra i numerosi interpreti, spicca in primo luogo Gerald Finley nell’impervia parte di Lear. Un ruolo estenuante in quanto è quasi sempre in scena anche in ardue posizioni attoriali. Utilizza, con sapienza, vari aspetti della vocalità, dal declamato, all’arioso, all’aria; magnifici i suoi “pianissimi”. Nel gruppo maschile, occorre citare il controtenore Kai Wessel (Edgar) e Michael Maertens (il buffone), nonché Charles Workman (Edmund). Nel gruppo femminile, spiccano Evelyn Herlitius (Goneril), Anna Prohaska (Cordelia) e Gun-Brit Barkmin.