Chi è Nanni Svampa per uno della mia generazione (1963)? Come poteva arrivare a conoscerlo e apprezzarlo negli anni ’70 un bambino, o un ragazzo, mentre le apparizioni di personaggi come Svampa, Jannacci, I Gufi, ecc. andavano man mano eclissandosi dalla TV del tempo? 

Inizialmente è stato il gusto di sentir parlare in dialetto, lingua che in casa era usata dalle zie o dalla nonna, ed eventualmente dai genitori se volevano essere spiritosi o rendere più colorita qualche espressione. Ho cominciato così a spulciare nei negozi di musica, dove trovavo interi scaffali pieni dischi di Svampa, de I Gufi, di Jannacci, di Walter Valdi, di Cochi e Renato, ecc. Avevo soldi per comprarne uno, massimo due alla volta, ma era chiara la percezione che si trattava di materiale che stava andando “fuori catalogo”, e quindi che “ogni lasciato è perso”.



Ogni occasione era buona: il Natale, il compleanno, la Cresima, la zia… Non capivo tutto quanto ascoltavo perché, al di là di alcuni “francesismi” non sempre alla portata dei 10 anni di quell’epoca, i contenuti di questi dischi erano tutt’altro che banali. Intuivo però che erano cose “di spessore”. E di fatti, pochi anni dopo, quando cominciai a frequentare un movimento di educazione alla Fede (e alla ragione) ritrovai quel repertorio fra i canti più gettonati nei momenti comuni, opportunamente presentati come espressione di popolo e di cultura.



Con il passare degli anni ero riuscito a raccogliere quasi tutta la discografia di Svampa e de I Gufi. Ma ogni collezione ha sempre il suo pezzo mancante, e fu proprio grazie a questo che conobbi Nanni, verso la fine degli anni ’90. Mi prestò il disco mancante (assieme ad altri) che ho opportunamente masterizzato su CD. E’ nata così una scintilla di simpatia nei miei confronti e il rapporto con lui si è poi mantenuto nel tempo. Un amico sincero, intelligente, vivace, che provocava e stimolava sempre. Con lui si poteva parlare di tutto: si partiva dalle canzoni, dai suoi colleghi cantanti, per arrivare alla politica, alla famiglia, al cibo, alla vita e al suo significato. Io credente e lui agnostico, sferzante, ma sempre rispettoso. Invitato al mio matrimonio come “intrattenitore” è venuto alla festa di nozze (non in chiesa, perché “allergico al fumo delle candele”) semplicemente come amico, assieme alla moglie Dina e ad Antonio Mastino, il suo chitarrista, e ci ha fatto apprezzare alcuni dei suoi brani. 



I critici musicali e gli esperti hanno già scritto e scriveranno analisi dettagliate dell’intera opera artistica di Nanni (e io non mi sogno minimamente di rubare loro il mestiere). Qualche spunto però non riesco a tenerlo per me. 

Un filone importante di Svampa è stata la rivisitazione dell’intero patrimonio della canzone popolare lombarda. Senza di lui sarebbe andata persa, confinata in alcuni dischi (ormai introvabili) per amatori, a volte decisamene poco orecchiabili. I dodici LP di Svampa dedicati alla canzone popolare lombarda, fortunatamente oggi ancora disponibili, contengono versioni belle, con arrangiamenti semplici ma vivaci, affini agli standard musicali dei nostri tempi. Si va per argomenti e periodi storici: dal Medioevo al risorgimento, i mestieri, l’officina, la mala, l’osteria, la nuova canzone milanese degli anni 60-70 di Jannacci, Fo, Valdi e I Gufi, fino ai nuovi cantautori milanesi.

Un altro filone era la satira sociale e politica: assieme a I Gufi prima e da solo poi è stato poi un pioniere in questa direzione, facendo una satira puntuale e pungente anche se divertente e scherzosa. Nulla a che vedere con le canzoni didascaliche (cioè … noiose) dei vari cantori e cantautori “impegnati”. Un linguaggio anche crudo quello di Svampa, irriverente, ma mai di cattivo gusto, anche quando voleva essere volgare (cioè “del volgo”, “del popolo”, come Svampa amava precisare). 

Ci sono poi le traduzioni di Brassens, ma più che tradurre Svampa ha fatto rivivere le canzoni di Brassens a Milano e dintorni (l’Ortica, Lambrate, la piazza del Duomo, la Bovisa, el Verzee, …): un’idea geniale, che ci ha consegnato versioni che ci hanno fatto divertire e commuovere al tempo stesso. Fra le trasmissioni televisive (soprattutto in bianco e nero) va ricordata la serie di 4 puntate intitolate “Una bella domenica a Gavirago al Lambro”, interpretate assieme a Lino Patruno, nella quale si raccontavano le vicende di due coppie di vicini di casa, il Nanni e la Lina (lombardi) e Lino e Nannì (meridionali), complici ma in perenne litigio perché il Lino l’è un terun, mentre il Nanni è un ignorante affabetico! 

In questi deliziosi quadretti si inseriscono i momenti all’osteria, dove la contesa si scioglie in un battibecco di strofette, ritornelli e canzoni popolari del Nord e del Sud (queste interpretate da Otello Profazio). Da ultimo non posso non ricordare i due cicli di lezioni che Svampa ha tenuto a Milano sulla canzone popolare milanese, antica e moderna: una ventina di incontri di due ore ciascuno nelle quali raccontava vita, morte e miracoli delle canzoni, il contesto storico nel quale queste nascevano (da Napoleone e Cecco Beppe al compromesso storico), la ricerca che stava dietro a certe parole o espressioni che usava per rendere in milanese l’argot di Brassens. Ricordo un dettato in milanese che ci aveva fatto fare e che ci ha riconsegnato la settimana dopo con tanto di correzioni a matita rossa! 

Un artista solido, rigoroso e serio, la cui scioltezza sul palco scenico era frutto di un meticoloso lavoro che Svampa continuava a svolgere fino a quando non era pienamente soddisfatto. Grazie per tutto, Nanni!

 

P.S. Un esempio fra i tanti, il finale della canzone “Mi sont on malnatt”, traduzione di “Je suis un voyou” di Brassens, nella quale si commenta così il fatto di essere stati lasciati dalla Rosetta (o da Margot):

 

J’ai perdu la tramontane

En perdant Margot

Qui épousa, contre son âme

Un triste bigot

Elle doit avoir à l’heure

A l’heure qu’il est

Deux ou trois marmots qui pleurent

Pour avoir leur lait

Et, moi, j’ai tété leur mère

Longtemps avant eux

Le Bon Dieu me le pardonne

J’étais amoureux!

 

Hoo perduu la trebisonda 

quand la m’ha lassaa:

“Bene, arrivederci, in gamba!”;

a gh’è staa nient de fà.

La sarà giamò sposada 

cont on quai teron

che la tegn sarada in cà

per salvà l’onor.

A me resta solamente 

la sodisfazion

d’aveggh faa ’na pastrugnada 

prima d’on teron!