Dal 1958 (quando, tre anni dopo la morte del compositore, la manifestazione, biennale, è iniziata) il Festival Enescu è diventato uno dei principali eventi musicali  internazionali a livello dei festival di Salisburgo e Lucerna e dei Promanade Concerts di Londra. Anche se relativamente poco frequentato dagli italiani, al Festival Enescu giungono spettatori da tutto il mondo. 



Quest’anno, il festival si svolge dal 2 al 24 settembre. I biglietti per i principali eventi si sono esauriti nel giro di pochi ore, ed in alcuni casi minuti, da quando sono stati messi in vendita all’inizio di febbraio. A esempio, quest’anno, tra botteghino ed online  sono finiti in dieci minuti dalla messa in vendita quelli della serie “Le grandi orchestre del mondo”, i biglietti per i concerti della Filarmonica della Scala con Riccardo Chailly e David Garrett, della Royal Philarmonic di Londra con Martha Argerich e della Israeli Philarmonic Orchestra con Khatia Buniatishvili. Nella serie “I grandi solisti”, sono bastati pochi secondi per i biglietti per Lang-Lang e per il recital di Jonas Kaufmann ed Anoushka Shankar, e poco più di cinque minuti per quelli di Leonidas Kavakos, Gautier Capuçon e Maxim Vengerov. 



Sono concerti che vengono tenuti in una sala di 4.000 posti o in spazi più piccoli. Di norma se ne tengono tre o quattro al giorno di cui uno dedicato alla musica contemporanea alle 11 del mattino in uno degli auditori della radio, due (alle 16:30 ed alle 22:30) di musica di camera, di musica barocca e per formazioni orchestrali contenute nel gioiello architettonico di fine Ottocento (Ateneo Romeno) ed uno alle 19:30 per grandi orchestre in una Grande Sala di 4000 posti.

Uno degli appuntamenti più importanti è stata l’esecuzione in forma di concerto di uno dei sommi capolavori del Novecento: Mathis der Maler di Paul Hindemith. Una sua messa in scena richiede uno sforzo produttivo enorme: organico orchestrale smisurato, doppio coro, undici solisti (di cui otto prime patti), sette ‘quadri’, con cambiamenti di scena all’interno dei singoli quadri. Richiede anche un pubblico avvezzo: quattro ore di musica ed un libretto denso di considerazioni filosofiche e teologiche. Non credo sia mai stato messo in scena in Italia. Alcuni anni fa ce ne fu un’ottima produzione a Monaco di Baviera.



Il protagonista modellato sul pittore Mathis Grünewald, è preso nelle vicende storico politiche del Cinquecento (guerra di religione, rivolte dei contadini contro l’aristocrazia feudale) e deve scegliere se scendere in campo o restare nella torre eburnea della sua arte. L’azione politica – quasi tutti i personaggi del lavoro sono realmente esistiti – sembra essere più forte dell’arte.  Sino a quando, in una delle scene finali, Mathis si immagina nel ruolo di Sant’Antonio di fronte alle tentazioni e riceve il consiglio di dedicarsi all’immortalità dell’arte piuttosto che alla politica. L’opera ha debuttato nel 1938, quando il tema del ruolo dell’intellettuale e la politica era di grande attualità (si pensi a La Trahison des Clercs di Julien Benda).

Ho esaminato altrove gli aspetti più spiccatamente tecnico-musicologi del lavoro. Qui occorre rilevare che Hindemith, dopo aver filtrato con l’avanguardia della prima metà del Novecento, ritorna , con Mathis der Maler, alla scrittura tonale, con arie, dueti, sestetti, concertati, interludi sinfonici

La messa in scena rischierebbe un grandioso apparato. A Bucarest lo si è sostituito con proiezioni multimediali curate da Carmen Lidia Vidu e dai suoi colleghi: basate su opere di Grünewald e della sua epoca (con elementi di arte contemporanea romena). Un modo astuto per superare l’ostacolo. Un modo che ha richiesto, senza dubbio, enorme lavoro di ricerca ed animazione.

Gli aspetti musicali erano affidati ad uno dei maggior esperti del Novecento, Lawrence Foster, allievo lui stesso di Hindemith quando il compositore insegnava all’Università della California a Los Angeles. L’Orchestra della Radio Nazionale Romena ed il Coro Accademico della Radio Romena fornivano il vastissimo organico. Direzione di grande livello che ha colto tutte le sfumature di una partitura complessa.

Voci di altissimo livello, ad iniziare dal protagonista Lester Lynch (Mathis), un baritono di altissima qualità e di grande presenza scenica (anche in un’esecuzione in forma di concerto) con una modulazione perfetta per i ruoli verdiani (li ha cantati anche alla Scala). 

Il suo deuteragonista il tenore wagneriano Torsten Kerl (Albrecht von Brandenburg); non lo ascoltavo dal vivo dal 2004 a Vienna (in Die tote Stadt di Korngold); ha acquistato qualche chilo ma ha mantenuto una voce chiara e squillante che sa scivolare perfettamente nei pianissimi (che in Mathis hanno un ruolo essenziale). Bello rivedere Falk Struckmann (Riedinger), uno dei protagonisti del Ring fiorentino di Mehta, Ronconi e Pizzi nel 1978-82; è ancora freschissimo. Nel gruppo maschile, da notare l’austriaco Norbert Ernst (Hans Schwalb), spesso ascoltato in Strauss e Wagner e due voci promettenti Cosmin Ifrim (Sylvester) e Peter Galliard (Wolfgang Capito). Nel gruppo femminile, eccelle Brigette Pinter (Ursula), un soprano wagneriano di fama in grado di scendere a registri molto bassi. Di buon livello Katerina Tretyakova (Regina), un soprano lirico di coloratura, e Stilla Grigorian (Contessa Helfenstein), un abile contralto. 

L’opera – si è detto – è ardua. Dopo la prima parte (oltre due ore), la grande sala (4000 posti) ha perso parte del pubblico . I restanti (pur sempre almeno 2000) hanno risposto con applausi ed ovazioni,