“Hey, babe, ah, baby, won’t you take my hand, waltz with me down Broadway”

Probabilmente una delle più lunghe maratone musicali nella stessa location della storia, quella che Bruce Springsteen terrà dal prossimo 3 ottobre al 3 febbraio 2017, suonando cinque sere consecutive alla settimana al Teatro Walter Kerr di Broadway. Il confronto che subito è venuto alla mente di tanti è stato “Elvis a Las Vegas” quando al suo ritorno agli spettacoli dal vivo il re del rock’n’roll si esibì a lungo nella medesima sede, appunto la città del gioco d’azzardo: 57 concerti nel 1969,  115 l’anno seguente fino a un massimo di 121 nel 1972. Nel frattempo però si esibiva anche in altre città americane. 



Stessa cosa hanno fatto nei decenni successivi altri artisti, ad esempio Elton John, scegliendo Las Vegas come residenza fissa per lunghe serie di concerti consecutivi. 

Ma il caso di Elvis e Springsteen, a parte l’alto numero di show nella stessa città, non ha niente di uguale. Elvis, quando riprese a fare concerti dopo circa dieci anni di assenza, era al top della forma, furono show formidabili. Springsteen non ha mai smesso di fare concerti, e a differenza di Presley che allora di anni ne aveva 34, ne ha oggi 68. Per Elvis non era dunque un ritiro all’ospizio come dicono quasi tutti, ma una rinascita; per Springsteen… non si sa cosa sia, perché in realtà l’età del pensionato ce l’ha lui oggi. Ma è una sfida eccitante, che contiene tanti punti di domanda.



Probabilmente è un tentativo di recuperare una certa dimensione artistica andata perduta negli ultimi tour – karaoke dell’artista del New Jersey, con una E Street Band di fantasmi. New York è poi la città che l’ha lanciato al grande pubblico, facendolo  fuggire “da una città di perdenti” tra i localini da spiaggia nel New Jersey. A New York dedicò una “serenata” memorabile, quella di Spanish Johnny e tanti altri personaggi nascosti nelle strade secondarie della Big Apple, perdenti e innamorati col cuore irrimediabilmente spezzato. A New York infine ci sono le luci di Broadway, i marciapiedi delle star di un passato antichissimo, di cui rimangono oggi solo ombre e  fantasmi.  



La location dove in pratica Springsteen vivrà per i prossimi 5 mesi, andando a casa solo per dormire, è proprio qui, a Broadway, in uno dei teatri più affascinanti di questa già affascinante strada. Solo 975 posti a sedere. Progettato nel 1921, con il nome di Ritz Theatre, dal 1943 al 1965 servì come studio radiofonico e televisivo. Diverse gestioni poco fortunate portarono alla chiusura nel 65 per riaprire nel 1971 e diventare  un cinema porno per adulti. Tipo quelli dove il Robert De Niro di Taxi Driver portava la ragazza che voleva conquistare, un posto da perdenti. Nel 1973, in una svolta davvero radicale, divenne un teatro per bambini, poi qualche raro musical. Finalmente nel 1990, dopo un restauro del valore di due milioni di dollari, venne rilanciato alla grande con il nuovo nome di  Walter Kerr Theatre in onore dell’omonimo critico teatrale. Quale posto migliore, così pieno di storia, di fallimenti e di rinascite, di decadenza e sogni infranti, poteva scegliere il musicista che ha cantato meglio di tutti le promesse non mantenute della vita americana? Una scelta perfetta, che Frank Sinatra, la voce regina della Grande Mela, avrebbe apprezzato.

C’è molto da sognare a proposito di questi concerti di Springsteen, lasciando a parte naturalmente i prezzi stratosferici dei biglietti e il solito mercanteggio dei bagarini. Cattiva gestione della vendita dei biglietti come sempre da parte di organizzazioni che ormai hanno monopolizzato il mercato come fossero banchieri corrotti di Wall Street, e prezzi da ricchi sono purtroppo ormai la caratteristica di quasi tutti i concerti rock, una musica diventata di minoranza e di appannaggio di pochi fortunati, non più il fenomeno di massa popolare che era almeno fino a trent’anni fa. Ma questo è un altro discorso. Va poi detto, non è chiaro se solo per la prima serata o per tutta la durata della maratona, nove posti nelle primissime file sono stati messi in vendita con un’asta che parte da 25mila dollari: tutti soldi che andranno in beneficenza a una associazione che lotta contro l’Aids. E’ una bella cosa, che dovrebbe smorzare almeno un po’ la furia di certi fan incattiviti dai prezzi dei biglietti.

Il fascino di questi show rimane alto e l’aspettativa pure. Springsteen si esibirà in completa solitudine, proprio come quando si esibiva nei club del Greenwich Village (al proposito, in una recente intervista al New York Times, Springsteen ha detto che questo sarà lo spettacolo che John Hammond avrebbe voluto vedere quando si esibiva al Max Kansas’ City nel 1973) a inizio carriera ma adesso con una storia musicale ultra decennale da raccontare. Per chi ha visto qualche concerto del tour del 2005, quando ad esempio suonò da solo al Forum di Assago facendolo diventare un piccolo club fumoso di periferia, sa che tipo di magia è un suo concerto solista. Non è escluso che durante la maratona possa far capolino sul palco qualche ospite speciale. Chessò, magari un Bob Dylan, altro figlio musicale prediletto di New York, che passava di là, o i suoi amici sopravvissuti della E Street Band, in qualche siparietto dedicato all’autobiografia di Springsteen, uscita un anno fa.

Lo stesso artista ha infatti annunciato che parte delle serate saranno spoken word, letture commentate di quello straordinario libro, e con gente come Little Steven, magari vestito da Soprano, si potrebbe assistere a racconti esilaranti della loro giovinezza. Springsteen del resto sul palco anche durante i concerti è sempre stato un grande intrattenitore, con racconti di fascino. La bellezza comunque di sentirlo leggere pagine di quel libro entusiasmante varrà quanto la parte musicale. 

Già, ma che canzoni farà? Sarà la stessa scaletta tutte le sere, o sarà diversa ogni volta? Nella stessa intervista al New York Times citata prima Springsteen ha tolto ogni speranza ai fan: in sostanza sarà lo stesso spettacolo tutte le sere: “E’ un tipo di spettacolo con musica e sceneggiatura fissi, ho intenzione di svolgere praticamente la stessa cosa ogni sera. E’ un lavoro che ha una base solidificata e penso che l’intimità di questo teatro influenzerà lo spettacolo, rendendolo piuttosto diverso dai miei precedenti tour acustici”. Springsteen ha solo l’imbarazzo della scelta, potrà fare quello che vuole. Secondo i reportage dalle due prove tenute nei giorni scorsi, ha cantato pezzi come Growin’ Up”,  “My Hometown”, “Born in the USA”, ” Thunder Road”, “Brilliant Disguise”, “The Wish”, “My Father’s House”, “Born to Run”, “Land of Hope and Dreams”, “Tougher Than The Rest” (a cui si sono uniti la moglie e alcuni membri della E Street Band, a dimostrazione di quanto dicevamo prima a propositi di ospiti), “The Promised Land” e anche una pianistica  “Tenth Avenue Freeze-Out”. Mica male.

Qualunque cosa accada, sarà un evento. Ci saranno momenti di gloria e lacrime da versare, ci sarà da ridere e ci sarà ancora una volta da sperare in un sogno da inseguire. Ci sarà posto, da qualche parte tra le prime file e il loggione, a ringraziare in silenzio l’uomo che ha dato loro una voce, gente come Spanish Johnny, Puerto Rican Jane, Billy, Diamond Jackie e altri beautiful loser. Li vedrete uscire da soli da quel teatrino di Broadway e tornare alle loro storie che continuano eternamente, sempre dallo stesso punto, perché chi vive in una canzone non muore mai e rimane sempre giovane. 

Per Springsteen invece sarà una sorta di romanzo della sua vita, una vita unica, una lotta epica mai finita contro il dolore e la necessità del vivere. 

Proprio come finisce la sua autobiografia, quando Springsteen in una notte solitaria gira in macchina per le strade della sua città natale e si ferma davanti alla sua vecchia scuola, spegne il motore, esce e recita un Padre Nostro, durante una delle serate di prova, a un certo punto si è fermato e ha recitato quella preghiera. Poi ha attaccato Born to Run. 

Forse a 68 anni di età, dopo aver vissuto una vita che ne potrebbe contenere dieci di quelle di gente come noi, spinta ai massimi di intensità travolgente e implacabile, Springsteen sta pensando alla maratona che lo aspetta, e come dice il protagonista di Drive All Night,  “Vorrei che Dio mi mandasse una parola, mi mandasse qualcosa da aver paura di perdere”. La sfida della maratona di Broadway potrebbe anche farlo uscire con le ossa spezzate e annunciare una sorta di addio alle scene, o forse contiene la paura che la sua arte, la sua musica, il suo Io si stiano perdendo e attraverso questa sfida si possa invece concretizzare “una parola” buona, che sveli a lui stesso il mistero della sua vita e conservino senza perdere quanto di buono ha saputo creare in tanti anni. Probabilmente, solo Diamond Jackie saprebbe dare la risposta giusta.