Dopo alcuni anni magri di successi e dopo la ripresa già nel 2016, il festival Verdi Festival 2017 parte con il vento in poppa. Già prima che il 28 settembre iniziasse la manifestazione la biglietteria aveva incassato un milione di euro, un altro  milione verrà da una legge che ha riconosciuto, finalmente, il festival di ‘interesse internazionale. Con questa premessa sono accorsi sponsor non solo dall’Emilia e non solo dall’Italia. 



Il Festival 2017 prevede quattro nuovi allestimenti, Jérusalem, La Traviata, Stiffelio e Falstaff e una serie di concerti, nonché spettacoli nell’etichetta complessiva Verdi Off dedicati principalmente alle giovani generazioni (anche per attirarle alla musica del Cigno di Busseto). E’ stato anche annunciato il cartellone del Festival 2018: Macbeth, Le Trouvère, Un giorno di Regno ed Attila, tute nuove produzioni e con un calendario che consente al pubblico di assaporare le quattro opere in quattro giorni.



Ma veniamo a Jérusalem quale vista ed ascoltata alla ‘prima’ del 28 settembre. E’ il primo esempio di grand opéra commissionata a Verdi da quella da lui chiamata La Grande Boutique, l’Opéra di Parigi. Si è discusso a lungo, tra musicologi, se si tratti di un adattamento al gusto francese de I Lombardi alla Prima Crociata o di un lavoro con una sua autonomia, Anche se sedici brani de i Lombardi vennero travasati in Jérusalem (ma non gli altri undici e la sinfonia), propendo per la seconda ipotesi, anche in quanto gli stessi brani importati furono rimaneggiati anche perché scritti per un tenore, il Duprez, con un ‘do’ tutt’altro che frequente ai tenori italiani di quel periodo.



Il libretto di Alphonse Royer e Gustave Väez, è tipico del grand opéra; vicende storiche mischiate a drammi familiari, amori contrastati, otto quadri, frequenti cambiamenti di scena, azione che spazia in più continenti, opportunità per balletti, e ‘happy ending’ con punizione del ‘cattivo’ (pentito) e riscatto dei ‘buoni. 

Ovviamente occasioni per effetti speciali particolari (assemblee sulla Piazza e nella Cattedrale di Tolosa), tempeste di sabbia in Palestina, Palazzi degli Emiri arabi, prigioni da fare impallidire il Piranesi. Il lavoro ebbe successo in Francia e Belgio sino al tramonto del grand opéra, ossia alla fine dell’Ottocento (venne presentato alla Scala, senza grandi esiti, nel 1850, tre anni dopo il debutto parigino). In tempi moderni, lo riscoprì Gavazzeni  a Venezia (1963 in italiano) e a Torino (1975 in francese). A Parma, nel Tempio Verdiano, si è visto ed ascoltato solo nella stagione lirica 1985-86.

Questa nuova produzione, in joint venture con l’Opéra di Montecarlo, ha due punti di forza. Il primo è la regia, scene e costumi di Hugo de Ana, il quale con un abile gioco di tele dipinte e proiezioni (in gran misura, di monumenti medioevali e mosaici bizantini) riesce a ricreare l’atmosfera del grand opéra francese dell’epoca. Il secondo è disporre di tre grandi interpreti con la voci adatte alla scrittura impervia di quando il lavoro venne concepito per le scene parigine. Il tenore messicano Ramòn Vargas è Gaston (il fratello ‘buono’ che subisce ogni sorta di angheria): classe 1960. è riuscito a mantenere la freschezza belcantistica (e i difficilmente pareggiabili ‘do’) che colpirono la giuria quando vinse il Premio Caruso nel 1986. Annick Massis (donna contesa tra due fratelli ed un emiro) è un soprano ‘assoluto’: uno dei pochi interpreti che riesce a interpretare i quattro ruoli femminili ne Les Contes de Hoffman di Offenbach: è il solo personaggio di Jérusalem con un vero sviluppo psicologico e va con maestria del belcanto, al soprano lirico al soprano drammatico. Infine Michele Pertusi: gioca in casa il ruolo del ‘fratello cattivo ’ che si pente e redime ed è coperto da meritate ovazioni. Di buon livello gli altri, Daniele Callegari, sul podio, dirige puntualmente la filarmonica Toscanini,ii

Merita un elogio particolare il coro, diretto da Martino Faggiani, per la bravura di cantare in francese, lingua che richiede emissioni molto particolari.