Un grande avvenimento a Roma per aprire il 2018: al Parco delle Musica, nel grande auditorium ‘Santa Cecilia’ (oltre 3000 posti) due orchestre, tra le prime del mondo quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e quella del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo – dall’11 al 16 gennaio sono state protagoniste di un breve festival (sei intense serate) per commemorare Cajkovskij in occasione dei 125 anni dalla morte del compositore considerato tra i più rappresentativi dell’epoca romantica. L’Orchestra dell’Accademia ha eseguito l’ultima opera del compositore Iolanta, mentre quella del Teatro Mariinskij le sei sinfonie. Sul podio in tutte le sei serate un grande maestro della musica e della tradizione russa come Valery Gergiev,
Il festival ha preso il via con Iolanta, opera in un atto incentrata sulla vita di Iolanda d’Angiò, ispirata al dramma di Henrik Hertz La figlia del re René. Una vicenda storica che Cajkovskij ambienta in un’atmosfera fiabesca, che complice anche la ricca orchestrazione, esalta la vicenda della bella principessa che riacquista la vista grazie alla potenza dell’amore. E’ lavoro di non semplice interpretazione. Da un lato – come afferma uno dei protagonisti dell’azione scenica – la favola ed i suoi simboli (le rose bianche e le rose rosse) rappresentano l’equilibrio “della carne e dello spirito”, che, raggiunto nella grande scena d’amore della seconda parte dell’opera, ha la premessa per un lieto fine non di maniera.
Ci può essere, però, anche una lettura meno banale: così come Schiaccianoci (nelle versioni più moderne) viene visto come l’allegoria di un’iniziazione erotico-sessuale (piuttosto che come un raccontino natalizio per educande), Iolanta è la scoperta graduale della diversità (la cecità per la figlia del Roi René, l’omosessualità per Ciajkosvkij) tramite un rapporto amoroso completo (quindi “di carne” e “di spirito”); Iolanta supera la propria condizione acquisendone consapevolezza tra le braccia di di Vaudémont, mentre per il compositore la realizzazione della sua condizione è l’anticamera di quello che probabilmente è stato un suicidio imposto (ed anche assistito).
Due anche le possibili letture musicali. Siamo al massimo della perizia tecnica di Ciajkovski; gli impasti cromatici mirabilmente fusi con ariosi, romanze, cori ed un lungo duetto diatonico possono essere letti come una raffinata, ma fredda, scrittura alle soglie del liberty, quindi come lavoro anticipatore del simbolismo oppure come una confessione drammatica in cui pure il grande concertato a dieci voci e coro del finale assume tratti di un inno alla gioia vagamente amaro, dunque interpretazione romantica.
Due anni fa, al Maggio Musicale Fiorentino, Stanislav Kochanovskyla l’ha interpretata come un lavoro precursore del simbolismo e di Debussy. A Roma , Valery Gergiev e prima di lui Temirkanov (nel 1985 e nel 2001) l’hanno letta come ultimo sublime frutto del romanticismo russo e precorritrice di quello che sarebbe sta il tardo romanticismo tedesco. A mio avviso, la seconda interpretazione è la più corretta.
Il cast è di grande livello: bravissimi, oltre che belli, la coppia Iolanta- Vaudemont (Irina Churilova e Najmiddin Maviyanov), eccellenti il Roi René (Stanislav Trofinov), il Duca di Borgogna (Alexei Markov), il medico arabo (Roman Burdenko) ed anche i ruoli minori (Andrei Zorin) , Yuri Vorobiev, Natalia Yevstafieva, Kira Loginova, Yekaterina Sergeyeva.Un cast nettamente superiore a quello ascoltato nel 2016 al Maggio Musicale Fiorentino. Nella lettura intensa di Gergiev, in orchestra acquistano uno smalto particolare i legni e gli ottoni. Ottimo, come sempre il coro diretto da Ciro Visco. In una sala stracolma, ovazioni il 13 gennaio al termine dell’esecuzione.
L’omaggio a Cajkovskij è continuato con l’esecuzione integrale delle sei sinfonie eseguite dall’Orchestra del Teatro Mariinskij – una delle più antiche e prestigiose al mondo, della quale Gergiev è Direttore Principale e Direttore Generale Artistico dal 1988 – presente nelle stagioni ceciliane sin dal 1993.
Domenica 14 gennaio, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha ospitato la cerimonia di apertura del Festival “Stagioni russe” patrocinato dal governo della Federazione Russa e sotto la supervisione del Ministero della Cultura russo. Il programma del concerto ha compreso la Sinfonia n.1 “Sogni d’inverno” e la Sinfonia n. 6 “Patetica”. composte da Cajkovskij rispettivamente dopo pochi mesi dal diploma di composizione – la Prima Sinfonia – e negli ultimi mesi di vita la Sesta. Tra i due estremi, si snoda l’opera di Cajkovskij e il continuo contrasto tra il successo e il tormento interiore che non abbandonò mai il compositore.
Lunedì 15 gennaio è in programma la Sinfonia n. 2 “Piccola Russia”, nella quale il lirismo caratteristico della vena compositiva di Cajkovskij si sposa con i numerosi richiami alla musica tradizionale russa e la Sinfonia n. 5 scritta nell’estate del 1888 dopo il superamento di un periodo di crisi creativa.
Martedì 16 gennaio, il Festival si conclude con un’ultima coppia di sinfonie, costituita dalla prima esecuzione romana della Sinfonia n. 3 “Polacca”, composta nel 1875 – l’unica delle sei scritta in cinque movimenti – e dalla Sinfonia n. 4 che vide luce nei due anni seguenti che coincisero con l’incontro tra Cajkovskij e la baronessa von Meck, ricca appassionata di musica che divenne per quattordici anni fedele mecenate e amica del compositore.
Ottime ambedue le orchestre nelle loro diversità; più smagliante quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dai colori e dalle tinte più ‘russe’ quella del Teatro Mariinskij.