A tutti noi italiani quando sentiamo Oh Happy Day vengono in mente le bollicine dello spumante, un famoso spot andato in onda per anni nel periodo natalizio. La canzone infatti che si sentiva in sottofondo era quella. Ma per gli americani, soprattutto gli afroamericani, è quella per cui è stata composta, un canto religioso. Anche da noi in chiesa la notte di Natale è facile sentirla cantare, ma i più storcono il naso: che ci azzecca lo spumante con la nascita del Signore? Potenza della pubblicità che distorce la realtà e confonde le menti. Il brano ha origini antichissime, addirittura un inno del XVIII secolo e non fu pensato come canto natalizio ma per i battesimi o le cresime, in quanto inno alla conversione delle chiese protestanti, cita il “giorno felice” in cui Gesù laverà i nostri peccati. Fu il cantante gospel Edwin Hawkins con una straordinaria intuizione a renderlo popolare anche fuori delle chiese, quando nello 1967 ne incise la famosa, briosa ed emozionante versione che tutti conosciamo.



Due anni dopo la pubblicazione entrava nelle classifiche di mezzo mondo, dagli Stati Uniti alla Germania. Registrata in una chiesa di Berkeley in California la versione di Hawkins divenne quella “ufficiale” e i tanti artisti che hanno inciso Oh Happy Day si sono da allora ispirati a lui. Colpito da un cancro al pancreas è morto ieri Edwin Hawkins, 74 anni di età, che nei decenni successivi non ha più raccolto altri successi. Era nato a Oakland nel 1943 e già a 7 anni era pianista nel coro gospel di famiglia. Nel 1967 fondò insieme a Betty Watson il Northern Carolina State Youth Choir e incise il brano che inizialmente passò inosservato, ma un dj di San Francisco cominciò a programmarlo quotidianamente, diventando così famoso in tutto il mondo. E’ stato usato in innumerevoli film ad esempio Sister Act e a Hawkins permise di vincere nel 1970 il prestigioso premio Grammy come miglior performance gospel.

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