A parte lo scalpore, le polemiche da portineria e le ironie, sembra che, come era facile immaginarselo, il Nobel per la letteratura a Bob Dylan non abbia suscitato gran interesse nel mondo, monolitico e stantìo, della scuola italiana. Antologie che contengono l’usuale Blowing in the Wind, insieme a un paio di pezzi di Fabrizio De André, esistono da decenni, ma un serio tentativo di inserire il cantautore americano all’interno degli studi scolastici non sembra essere venuto in mente a nessuno, dalle parti del Miur.
D’altro canto in Italia difficilmente si esce dalle paratie obbligatorie che ci vedono fermi a imparare a memoria “i soliti noti”, così si fa meno fatica a tenersi aggiornati.
Tocca, come sempre nel nostro paese, all’iniziativa personale, in questo caso di alcuni docenti “illuminati”, provare ad “abbattere i muri” mettendoci del proprio, inteso come sacrificio di tempo e di impegno. E’ il caso di Leonardo Maria Eva, docente di letteratura al Liceo Classico Galilei di Firenze che nel biennio 2016-17 si è imbarcato con i suoi alunni in una profonda riflessione sull’arte della scrittura del cantautore americano, premio Nobel per la letteratura con la motivazione di aver creato “nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione americana”.
“La terra popolata, dieci ragioni per il Nobel a Bob Dylan” (Società Editrice Fiorentina, 106 pag., 10,00 euro) raccoglie il frutto di questo lavoro e può – deve – servire a tutti quei suoi colleghi che vogliano tentare esperimenti analoghi.
Non si tratta infatti di analizzare un vecchio cantante degli anni 60 come in Italia si intende la figura di Dylan, ma la voce culturalmente, poeticamente e politicamente più importante dell’America del 900 (e ancor oggi), attraverso la quale si può capire la storia dell’America moderna. L’ottimo lavoro di approfondimento e analisi fatto da Eva con i suoi studenti permetterà inoltre anche di addentrarsi in quel grande mondo rock che in Italia è sempre stato vissuto superficialmente ed è rimasto appannaggio di pochi “fanatici”, magari aiutando i giovani di oggi a scoprire una passione per la forma di comunicazione più vibrante e realista dei nostri tempi, facendoli filmante distaccare dalla paccottiglia senza contenuti che producono i talent show televisivi. In questo modo aprendo anche il loro cuore al fascino della ricchezza che offre la vita.
Per gli snob che ancora dubitano se Dylan può stare a fianco di Leopardi, bastano queste parole per far capire come tutto è collegato nella storia della letteratura. A proposito di Like a Rolling Stone (“la canzone rock più importante di sempre”, scrive giustamente Eva) leggiamo che “volge in positivo un vecchio proverbio che ha le sue radici addirittura nella cultura classica (Saxum volutum non obducitur musco) e che è passato nella cultura americana soprattutto tramite il blues: A rolling stone gathers no moss (il muschio, cuscus, moss, allude al denaro)”. Così come i numerosi riferimenti a T. S. Eliot, alla cui Waste Land Dylan si è spesso ispirato. Ma non solo.
Con una scrittura agile e mai pedante, Eva ha prodotto uno sfizioso volumetto da cui attingere per partire in personali percorsi di studio: le principali canzoni, i libri scritti da Dylan, le poesie su carta (le linee notes sul retro dei suoi album), le interviste, gli interventi pubblici (rari purtroppo), cinema, radio, televisione. Più una discografia dettagliata e una biografia. Per approcciare l’uomo che ha detto “sono felice di non essere me stesso”, sconvolgendo e rinnovan do il linguaggio musicale e letterario moderno.