Prendete una canzone di successo degli ultimi anni, prendete un artista di quelli che vanno per la maggiore: se andate a vedere chi ne è l’autore, troverete sempre questo nome, magari insieme a un co-autore a volte: Roberto Casalino. Il suo curriculum di brani incisi da altri artisti è impressionante: da Giusy Ferreri ad Antonello Venditti, da Marco Mengoni (che vinse Sanremo con un brano di Roberto, L’essenziale), da Fedez a Tiziano Ferro, da Alessandra Amoroso a Francesca Michielin. Impressionante. Roberto Casalino è certamente l’autore giovane maggiormente dotato sulla scena musicale contemporanea. Ma è anche un cantante e pubblica in questi giorni il suo terzo disco solista, “Errori di felicità”, dove attua una svolta verso sonorità chitarristiche e canzone d’autore di pregevole livello. Lo abbiamo incontrato, ecco cosa ci ha detto.



Come funziona il mondo dei compositori di canzoni? Sono gli artisti o gli editori musicali che vengono a cercarti?

Dipende dal tipo di rapporto che ho con quell’artista, se magari ci ho già lavorato è lui che viene a chiedermi se ho dei brani nuovi, altrimenti è l’editore musicale che cerca tra i miei pezzi quello che gli può servire per un determinato artista.



Quando scrivi un brano per un altro artista, cerchi di calarti nello spirito di quel determinato artista? 

No, io scrivo sempre per me stesso, non penso a chi dovrà incidere quel tale brano. Questo mi porta anche a fare meno canzoni di tanti miei colleghi che viaggiano su livelli di composizioni altissimo, ma io scrivo quando sento l’urgenza di farlo, non mi metto al tavolino a comporre.

Questo nuovo disco cambia le atmosfere musicali a cui ci avevi abituato, sei d’accordo?

Sì, ho preso in mano la situazione dal punto di vista produttivo e di me stesso, ci sono molte chitarre cosa che spero tornino di moda oggi che si usa tanta tecnologia in studio. Marta Vetturini, una musicista e produttrice, è lei che ha prodotto il primo disco di Calcutta, mi ha dato una mano ad arrangiare e produrre il disco. Lei ha un’anima molto rock, le chitarre elettriche le suona tutte lei, io ho suonato la chitarra acustica. Poi ci sono altri due musicisti della live band di Marco Mengoni.



Hai vinto Sanremo senza salire sul palco: ti sarebbe piaciuto essere tu a cantare o sei comunque soddisfatto così?

La soddisfazione è stata talmente grande, è stata una emozione così grande, anche perché non mi aspettavo di vincere con quel brano. C’era un cast di artisti pazzesco quell’anno ma Marco (Mengoni, ndr) ha fatto una esibizione spettacolare. Quel brano, L’essenziale, aveva un messaggio universale, forse è l’unica canzone del mio repertorio che non parla di amore. Certo, mi piacerebbe esibirmi a Sanremo,  però vivo tante belle cose che prendo quello che arriva.

Tra i tanti che hanno inciso tuoi brani, chi senti abbia meglio espresso la tua musica?

Non voglio essere politically correct dicendo che tutti gli artisti hanno dato una giusta impronta, ma certamente Giusy Ferreri che è stata la prima a incidere un mio pezzo, ha uno spazio particolare nel mio cuore. Ha una vocalità che mi fa venire i brividi, ha su di me impatto pazzesco. A me piacciono le voci un po’ sporche anche se non sono virtuose, tipo Mia Martini, Loredana Berté, Patty Pravo. Ma sono comunque grato a tutti quelli che hanno inciso un mio pezzo. 

La canzone che intitola il disco, Errori di felicità, ha un messaggio molto forte. Di solito incolpiamo gli altri dei nostri errori, tu invece ti assumi le tue responsabilità, è così?

E’ più facile dare la colpa all’altro nel momento in cui facciamo qualcosa che ci viene addosso ma siamo padroni delle nostre scelte. Se ogni errore è un tentativo nel raggiungimento di qualcosa a cui tenevi, allora l’errore è stato un passo avanti per quell’obbiettivo. 

Nel video del brano sei completamente solo, un modo per sottolineare questo lavoro su se stessi?

Sì, quello che voglio comunicare è un lavoro che ti faccia restare al centro di te stesso, oggi è difficile essere centrati su se stessi, la frenesia di questa vita ci sottrae il nostro io.

In Le mie giornate dici una cosa che ci accomuna tutti: “Cominciamo sempre con un forse”.

Oggi devi fare tutto e lo devi fare bene, la presunzione di dire so fare tutto. Questa attitudine ci porta a vivere male, lo slogan della mia vita è mettermi sempre in discussione su tutto, non mi considero mai arrivato per questo riesco a  godere appieno delle cose che faccio.

Il mio manifesto è un brano che a Sanremo spaccherebbe, sei d’accordo?

E’ quello che mi ha detto anche Tiziano Ferro, mio caro amico. E’ un brano con cui mi sono voluto fare un regalo, una canzone molto personale che parla del rapporto con mio padre che non c’è più.

E ha una potenza melodica davvero notevole, qualcosa che oggi nelle canzoni non si trova quasi più, sei d’accordo?

Sono molto eclettico come gusti musicali però penso sempre che la melodia è quello che fa tutto. Oggi si tende a omologarsi a canzoni dove la bella produzione supera la melodia, ma la bella canzone deve stare in piedi solo voce e chitarra, l’arrangiamento non deve sovrastare parole e melodia. 

In Io non posso innamorarmi di te parli di “cuore anestetizzato”, qualcosa che fa pensare a questa generazione social che vive tutto in modo virtuale, che ascolta le canzoni in modo usa e getta, senza fermarsi a gustarle fino in fondo.

Prima c’era un altro limite, era complicato arrivare a tanti oggi invece arriva troppo, cosa che sacrifica l’ascolto del disco per intero. Il mio disco arriverà a chi ha voglia di dedicare 37 minuti del suo tempo, non faccio in modo che quello che scrivo sia finalizzato ai gusti, anche quelli delle radio. Io spero che incontri persone che come me hanno voglia di leggere un booklet, ascoltare il disco dall’inizio alla fine, comprare un libro e assaporarne la carta. Sono romantico e non mi preoccupo se non entro in classifica. 

(Paolo Vites)