In Vita spericolata un pianoforte parafrasa il giro di accordi, facendo eco alla Rimmel degregoriana e preparando il terreno a una ideale reinterpretazione femminile che però non arriva.  E’ piuttosto come una sigla che anticipa il senso dell’operazione.  Infatti ecco puntuale come una lama che prima accarezza e poi trafigge senza preavviso, una Ciao amore ciao che vede la protagonista duettare con il solo piano in una esecuzione che riporta in primo piano aromi della Milano austera, genuina e senza tempo dei club e degli artisti che incarnavano il volto della città e dei suoi slanci.  Jannacci, Gaber, Tenco, musica, cabaret e in mezzo la canzone d’autore esistenzialista.  E ancora la foto di copertina che vede la nostra far capolino tra le tende del Teatro Carcano.



Protagonista di questo “Sanremo d’Autore”, la milanese Patrizia Cirulli (reduce dalla bella messa in musica di celebri poesie in “Mille Baci” del 2016), idea artistica di Francesco Paracchini, complicità di musicisti come Vince Tempera e di cantautori quali Mario Venuti e Sergio Cammariere. L’intento quello di riportare l’attenzione, in un insieme ragionato, su dodici canzoni accomunate dall’essere stare relegate nelle retrovie delle graduatorie dei Festival di Sanremo, e nell’aver trovato in seguito un’affermazione in termini di successo o di rivalutazione critica.



Proprio la vena un po’ Dorelli un po’ Paoli di Cammariere conferma – in duetto con la Cirulli – il mood della fase d’apertura del disco, nella cover lauziana de Il tuo amore con il suo sapore di night fumosi e di storie finite.  E anche se con Un altro posto nel mondo – in tandem con il suo autore Mario Venuti – sembra profilarsi un cambio di registro con un salto di quarant’anni in avanti, lo spirito rimane quello.  Solo piano, voci, effetti leggeri e un piccolo dipinto che rivisita il cantare di relazioni e fragilità nelle turbolenze da terzo millennio.  La Colpevole che rende omaggio al croonerismo arguto di Arigliano, spezza il velo di malinconia in una modalità più sorniona.     



Il resto è un ripescaggio di canzoni che – oltre a passare in secondo piano al momento della loro presentazione nella città dei fiori – vantano la comune caratteristica di offrire un controcanto all’euforia o al sentimentalismo accentuato che ha contraddistinto la gran parte delle “instant hit” sanremesi.

Pitzinnos in sa gherra, e il suo intenso tono di ninna nanna anti bellica, rivive in una interpretazione intensa che esalta le sfumature etnico-esotiche del timbro denso e sospirato della Cirulli.  Che è poi quello che fa respirare, alla maniera singolare dell’interprete, l’idillio da dopoguerra di 1950.

E ancora la riflessione sussurrata di Canzoni alla radio, la quotidianità di Il mare immenso, una Rosanna accentuata nei tratti folkie, la fedeltà alla freschezza melodica di Donne e di Lei verrà.  Successi a scoppio ritardato, quando non addirittura canzoni riabilitate da uno scorrere del tempo che, grazie alla lente di uno sguardo più maturo, invita a rivedere l’altro dentro un se stesso differente, distaccato e riattaccato alle cose con un senso del tutto nuovo.  Una sorta di piccola rivincita del sottovalutato e dell’insospettato che si nasconde dietro all’artista qualunque.