Alla fine degli anni 70, essere appassionati di musica voleva dire essere un po’ una sorta di “carbonari”. Musica americana e inglese naturalmente, che in parte veniva distribuita nei negozi di dischi (solo quella di maggior successo), ma di cui ci si doveva informare per vie sotterranee. Le radio libere furono il più grande aiuto in questo senso, ma la passione era tale che neanche i dischi erano abbastanza. Volevamo saperne di più: le storie degli artisti, delle canzoni, i testi soprattutto, che volevamo decifrare. Cominciarono a uscire fortunatamente anche libretti artigianali, dalla grafica poverissima, dalle copertine che si strappavano quasi subito, ma quando trovavi un libro con i testi tradotti dei Byrds (autori Raffaele Galli e Pietro Noè, uscito nel 1980) che quasi nessuno conosceva in Italia, era festa grande. E poi le riviste. Inutile dire del compito straordinario che compì una rivista, nata nel 1977, anch’essa inizialmente composta in modo artigianale, “Il mucchio selvaggio”. Ci cambiò la vita, ci permise di tuffarci completamente in quella grande avventura.
Uno dei fondatori, Max Stèfani, ha da qualche tempo dato vita a una collana di libri, una sorta di storia del rock, divisa per personaggi invece che per periodi storici. A oggi sono usciti tre volumi, “I 4 cavalieri dell’apocalisse” (dedicato a Jeff Beck, Jimmy Page, Eric Clapton e Peter Green); Happy Trails (Duane Allman, Michael Bloomfield, Jerry Garcia, Jimi Hendrix, Jorma Kaukonen e Steohen Stills). Oltre a loro si parla anche dei gruppi di cui fecero parte. Ultima uscita è “California Dream 1960-1980” in cui si parla di Jackson Browne, Gene Clark, Ry Cooder, Lowell George, Randy Newman, Gram Parsons e Warren Zevon e rispettive band (316 pagg., inserto fotografico a colori, 29,90 euro) e delle band di cui alcuni di loro hanno fatto parte, come i già citati Byrds.
Lo stile scelto da Stèfani non è la solita storia trita e ritrita pescata qua e là da Wikipedia e che, almeno noi “vecchi”, conosciamo a memoria, ma come, spiega lui stesso, “far parlare il più possibile gli stessi musicisti seguendone le tracce senza nessuna intrusione dell’autore se non quella di essere regista-collante dell’enorme meraviglioso materiale a disposizione”. Oltre le parole dei musicisti ci sono anche articoli e recensioni in tempo reale, cioè da riviste d’epoca, alcune delle quali anche italiane. L’idea poi di procedere mantenendo le storie dei protagonisti insieme, cioè anno per anno, intersecandole fra loro, è geniale. Ci si può così muovere con loro passo dopo passo, seguendone gli esordi, i successi e gli insuccessi, proprio come se ci trovassimo nel 1973 o nel 1977. La lettura ne risulta eccitante e coinvolgente.
Questo libro è la storia della California sognata da tanti, una musica essenzialmente country-rock che da noi ha avuto scarsissimo seguito: allora di questi nomi in Italia non venne mai a suonare nessuno. Solo i Byrds al Piper di Roma nel 1969 quasi del tutto ignorati. Si dovettero attendere gli anni 80, per avere Jackson Browne, l’unico di loro una star anche qui da noi, il 1987 per una capatina di Randy Newman, il 1992 per un Warren Zevon in solitaria e neanche pubblicizzato. Poi in epoca di terza età avremmo visto gli Eagles. Come spiega bene Pierangelo Valenti (giornalista che cominciò a scrivere sul “Mucchio selvaggio” sin dagli inizi) nell’introduzione, “il country rock in senso molto lato appartiene agli americani in modo del tutto particolare, ai californiani doc o di importazione (…) Tutto è un loro brevetto, e se ci fosse un genere degno di fregiarsi del titolo di American Music, sarebbe questo”. Il resto lo ha fatto la stampa musicale italiana degli anni 70, sempre in prima linea a spingere il progressive inglese a discapito del rock americano.
Il libro ci dà dunque modo di scoprire o approfondire tante cose, ad esempio la simpatica “truffa” di quello che ancora oggi è considerato uno dei più grandi live della storia, Waiting for Columbus dei Little Feat. Come dicono gli stessi Paul Barrere e Bill Payne della band, un disco quasi del tutto ricostruito in studio, visto che Lowell George e il gruppo stesso stavano orma cadendo a pezzi vittime dell’abuso di droghe. Ad accorgersene ai tempi solo il New Musical Express che nella recensione del concerto di Londra da cui venne tratto il celebre disco, parla malissimo di quello che aveva visto e sentito. Oppure le ultime tragiche settimane di vita di Gene Clark, dopo Bob Dylan il più grande autore di canzoni americano e una delle voci più belle, morto miseramente alcolizzato mentre si esibiva nel salone ristorante di un qualunque squallido albergo losangelino, con musicisti raccattati qua e là, ubriaco perso ogni sera, a soli 50 anni. Storie di vincitori e perdenti, storie irripetibili, storie di grandi uomini.
Il libro è disponibile per corrispondenza richiedendolo direttamente all’autore: max.stefani007@gmail.com oppure max@outsiderock.com. (il quale non si ferma qui: in arrivo in primavera il quarto volume dedicato al cosiddetto blue colar rock: Springsteen, Mellencamp, Tom Petty, Steve Miller e Bob Seger).