“Siamo due benestanti che si tolgono delle soddisfazioni”: la dichiarazione di Mimmo Paladino, scultore, pittore, regista e quant’altro noto in tutto il mondo, taglia subito le gambe anche se lasciamo il beneficio del dubbio che sia stata una battuta. “Si tiene in cassaforte, ce lo teniamo noi avevamo pensato. Invece è giusto farlo vedere, farlo ascoltare” dice ancora a proposito della copertina da lui realizzata appositamente per il singolo Anema e core, celebre brano napoletano composto nel 1950 e che Francesco De Gregori, dopo averlo proposto dal vivo a lungo, ha deciso di incidere insieme alla moglie.
Una versione cantata con “la Chicca”, come la chiama lui e una orchestrale, un singolo su vinile 10” come ai vecchi tempi.
Una operazione “da collezionista” classico: stampata in 99 copie numerate, autografate (realizzata per chi vuole conoscere i dettagli, su carta Japan Shoji da 54 grammi con il torchio “Amos dell’orto” dai Fratelli Bulla a Roma), contenuta in un cofanetto (“Parola che odio”, dice De Gregori) alla modica cifra di mille euro se l’avete prenotata prima del 5 ottobre, da oggi in vendita per 1200 euro. Autografato naturalmente.
In un’epoca storica dove tanti artisti rifiutano l’arte da museo o da collezione privata, dipingendo e graffittando i muri delle strade, gratuitamente, senza sapere se domani la loro opera ci sarà ancora (un nome su tutti, Banksy) e che riportano l’arte in mezzo alla gente senza chiedere soldi, c’è invece chi ancora crea opere per gente danarosa, la metà delle quali finirà già domani su e-bay al doppio del prezzo. Qual è il senso infatti di operazioni come queste se non farne salire il valore economico? Le aste di Sotheby’s d’altro canto sono quelle che hanno ucciso il mondo dell’arte, anche se Paladino dice che se fosse uscita come semplice copertina di disco “quell’immagine avrebbe avuto un trattamento seriale, industriale, sarebbe stata stampata male”.
Francesco De Gregori e Mimmo Paladino hanno presentato questo lavoro oggi nella prestigiosa sede della Triennale di Milano, conferenza stampa blindata stile quelle del governo gialloblu dove non è concesso fare domande. Ma tanto ormai la stampa cosa conta?
Ascoltiamo così il cantautore dirci che la canzone la sentiva spesso cantata da un parcheggiatore napoletano e il giorno che il tipo non c’era la cantò lui alla moglie. Lo sentiamo dirci che una volta, negli anni 70, quando lui e i colleghi cantautori muovevano i loro passi, avevano l’ambizione di essere considerati “artisti”, ma mai si sarebbe sognato di figurare accanto a un mostro sacro come Palladino: “Avrei fatto i salti della gioia, così oggi posso saltare dopo che saremo andati a pranzo”. Dirci quanto lui e la moglie abbiano studiato a fondo le oltre cento versioni esistenti del pezzo, cercato di imparare il napoletano senza riuscirci granché e dicri che due anni fa un giornalista gli aveva chiesto perché non incideva una canzone in napoletano: “Mai. Non lo farò mai finché campo”. Invece lo ha fatto con la speranza, dice, “che i napoletani mi perdoneranno, ma lo faranno perché sono persone buone”.
Dice anche poi che si sente come fosse Dante con Virgilio che lo accompagna in mondi inesplorati, a cui Paladino ha l’arguzia maliziosa di rispondere “In realtà Virgilio ha portato Dante anche all’inferno”. “Più gli innesti a questo mondo sono imprevedibili più diventano interessanti. Soprattutto in un mestiere come il mio, dove si lavora spesso sulla prevedibilità, su quello che si pensa che il mercato possa volere. Noi abbiamo buttato il cuore oltre l’ostacolo, l’ostacolo ci è piaciuto e il risultato è questo. Ne siamo fieri” conclude il cantautore romano.
Paladino ci racconta invece la creazione in una vecchia bottega romana “che sembra di tornare indietro all’800 quando ci entri”. Ci dice delle diverse collaborazioni con musicisti che ha già fatto in passato, da Lucio Dalla a Brian Eno.
Lo scopo, dicono entrambi, è uscire dai confini, entrare in nuovi mondi, esplorare, che poi è lo scopo di ogni artista: “L’occasione di farsi invadere da un artista che lavora in un altro campo è ghiotta, è come un’iniezione di giovinezza perché ha a che fare anche con l’incoscienza, con il superare i propri limiti, e di questo brivido vive il lavoro di un artista” dice ancora De Gregori, aggiungendo “Io mi sento così, un uomo che ama l’arte istintivamente, una vittima del bello”.
Tra un mese uscirà un’edizione commerciale di “Anima e core” in 500 copie numerate e con una copertina differente: ma non doveva essere un’opera unica per battere la serialità del mercato musicale?.
Resta fuori una cosa soltanto che nessuno ha citato mai: il mistero che sta dietro a un’opera d’arte sebbene Paladino una volta abbia detto una cosa bellissima e cioè che “il significato di un’opera d’arte è sconosciuto anche all’artista stesso”, sia una canzone che una scultura. Resta fuori il mistero contenuto in quella bellissima canzone, che a un certo punto dice: “Questo desiderio di te mi fa paura”. Ecco, come dovrebbe essere ogni cosa: l’amore, i rapporti, le opere d’arte, la vita. Il desiderio del cuore dell’uomo che tutto desidera, ma ne ha allo stesso tempo paura. Perché si riconosce piccolo e indifeso e che la vita è più grande di lui.
Non abbiamo visto paura oggi alla Triennale, ma due pacificati professionisti “benestanti”.