No, non si può proprio raccontare di questo album scivolando sui tasti, morbidi e silenziosi, di una tastiera da MAC o da laptop. Per provarci, e per scoprire poi, come vedremo, che in fondo non è così difficile (?), perché di rock si tratta e di quello che non ammette e non consente masturbazioni parolaie, per provarci allora, meglio sarebbe battere i tasti di una vecchia Underwood, quelli alti, se qualcuno se li ricorda, che precipitavano sulla carta con un secco clangore metallico, sporcandola poi di inchiostro, i margini dei caratteri sbavati e l’allineamento a volte sbilenco. 



Per tentare di dare una idea di Beautiful, At Night occorre infatti partire dalla sincope metallica di una macchina da scrivere, da una prosa rumorosa. Perché The ACC di rumore ne fanno, una gioiosa macchina da guerriglia sonora che si muove con la sicurezza di chi non ha niente da perdere (e forse nemmeno niente da guadagnare e comunque chissenefrega) saltandoti addosso con assalti frontali per poi girarti intorno e provare a blandirti, ma solo per un momento e mai per davvero, a colpi di rasoio bottleneck. 



Beautiful, At Night è Rock (la maiuscola è voluta) scorbutico e low file, di quello sparato fuori dalle grate delle cantine che bucano i marciapiedi, che ti fa girare la testa spezzando di soprassalto la routine degli ascolti algoritmici, frastuono urbano che nasconde un’arcadia decomposta, sogno utopico di una repubblica post industriale che non ce la fa ad accettare la propria invisibilità. 

A Edward Abbiati e Stiv Cantarelli (le prime due lettere dell’acronimoACC), in misura variabile, le responsabilità di scrittura, arrangiamenti e produzione, oltre alle voci e alle chitarre, l’acustica del primo le tante elettriche del secondo, ai cospiratori (Conspiracy, la terza C, we miss you Robert Fisher) Antonio Perugini e Joe Barreca, cuore e sapienza nello scandire i tempi delle 10 canzoni. Brani dove Bob Mould incontra Neil Young, Townes Van Zandt gli Stooges. A Chris Cacavas (quasi il quinto cospiratore), Mike “Slo Mo” Brenner e Richard Hunter, infine, i colori di tastiere, lap steel, armonica.



Non so se Lester Bangs usasse una Underwood, ma Beautiful, At Night avrebbe dovuto raccontarlo lui.