Cosa rimane oggi del rock sudista? Un’epoca leggendaria, una inarrivabile fama di live act torrenziali ed un’atmosfera di irriducibilità sociale ha comunque continuato ad avvolgere questo genere nei decenni, come se la sua miscela di country e blues, di rock e bluegrass fosse destinata a rimanere per sempre. Più recentemente, dopo la scomparsa di Gregg Allman, le ultime bandiere sembrano vacillare, visto che anche Dickey Betts e Gary Rossington vivono tra acciacchi, ospedalizzazioni e una salute malferma. Dei “vecchi sudisti” rimangono comunque in pista i Lynyrd Skynyrd, brandelli di Allman Brothers, gli eterni ZZ Top, i Kentucky Headhunters ed i Little Feat (finché Paul Barrere, anche lui purtroppo malato, regge), con Outlaws e Marshall Tucker Band sempre in tour, ma con formazioni molto rimaneggiate. Età media: circa 70 anni. Eppure questo romantico e passionale mondo di rebell yell, non delude chi lo segue, anche con band giovani, sempre disposte a mantenere fede allo spirito dei fondatori. Vediamo cosa c’è di buono tra le nuove uscite discografiche.
DAN BAIRD AND HOMEMADE SIN – SCREAMER
Il disco sudista del momento è senza dubbio l’ultimo lavoro di Dan Baird And Homemade Sin, Screamer, disco di potenza contagiosa e di fantastica (e non ripetitiva) scrittura. Per l’ex leader dei Georgia Satellites si tratta probabilmente del lavoro migliore della sua discografia, qualcosa che veleggia attorno allo stesso shock elettrizzante del suo esordio solista con Love Songs for the Hearing Impaired (1992). La ricetta è sempre la stessa: un sound che sta a mezza via tra Lynyrd Skynyrd e Ac/Dc, con poderose spruzzate di boogie e di country, di cow-punk e di Ramones. Dopo aver superato guai fisici che avrebbero spezzato chiunque, Dan mette a punto un disco di grandi ballate, su cui emerge la lenta e poderosamente southern Something Better, sei minuti di fantastico deja-vu, esattamente quel suono sui soliti tre accordi che gli amanti del genere si aspettano, dagli Skynyrd alla Marshall Tucker Band. La trascinante Good Problem to Have paga parecchi tributi ai Georgia Satellite ed anche ad Angus Young, mentre Something Like Love, Charmed Life, Bust your Heart e You’re Going Down ripropongono alla perfezione il suono che tra la Florida e la Georgia ha definito la leggenda e le immagini del southern rock. Il disco è da sentire a volumi da infarto, anche per rendere il giusto merito al lavoro del bandleader e di Warner Hodges, che alle chitarre fa le faville che gli si riconoscono dai giorni infuocati in cui ha iniziato a fare il solista con Jason and the Scorchers.
BLACKBERRY SMOKE – FIND A LIGHT
Il nuovo album di Charlie Starr e compagni forse non raggiunge le cime toccate da Like an Arrow (il migliore della loro produzione), ma la band georgiana continua a non deludere, dimostrando una maggior coerenza e longevità di altre band sudiste nate a fine degli anni ’90.
Le chitarre e il rock sono sempre gli stessi, capaci di veleggiare tra il blues e lo Skynyrd’s sound, tra Tom Petty e il boogie. La vetta del disco è I’ll Keep Ramblin’, registrata con Robert Randolph, il miglior steel-guitarist in circolazione (di chiara provenienza gospel), una arrembante ascesa nel ritmo e nei duetti delle (diverse) sei corde elettriche. Sudiste al midollo sono l’ottima ballad Till the Wheels Fall Off, la ribellistica The Crooked Kind, e Medicate My Mind, mentre Flesh and Bone è una bordata di elettricità e potenza ritmica. Il disco non è solo roboante di rock, perché ci sono cenni di Eagles (Seems so Far) e armonie vocali che ricordano CSNY, ma il finale acustico di Mother Mountain (con reminiscenze da folk psichedelico che occhieggiano anche i Led Zeppelin) e il country di Let Me Down Easy con Amanda Shires sono sprazzi di ossigeno per chiunque ami la musica capace di accompagnare con dolcezza sogni e viaggi.
SCOTT SHARRARD – SAVING GRACE
Il suono dell’ultimo album di Gregg Allman è tutto frutto del lavoro del suo chitarrista e bandleader, Scott Sharrard, 42enne di immensa sensibilità per il southern soul. Seguendo la traccia di Gregg, anche Scott produce canzoni che si piazzano orgogliosamente a mezza via tra il southern ed il soul degli anni ’60, quello che vedeva Wilson Pickett e Aretha Franklin utilizzare Duane Allman come chitarrista di fiducia. L’ultimo disco di Sharrard, Saving Grace è a mezza via tra un disco di Gregg e le migliori cose di Jimmy Hall e dei Wet Willie, altra immensa band sudista con le radici in Alabama e il gusto per la black music.
Tra belle chitarre (acustiche ed elettriche), hammond e slide che assaporano di Sud, i fiati ricamano qualcosa che si avvicina molto al sound Sixties di Muscle Shoals, da Sentimental Fool a Faith to Arise. Saving Grace, la titletrack, è un piccolo capolavoro di soul-rock, come sarebbe piaciuto proprio al gigante Gregg (canzone che lui già conosceva, perché Scott l’ha già suonata live da alcuni anni) ed allo stesso modo Keep me in Your Heart sembra uscita dai tempi in cui Ahmet Ertegun e Jerry Wexler erano i padri della musica. Memphis e gli anni ’50 e ’60 sono gli autentici fari per Scott, e Sweet Compromise, Angeline e She Can’t Wait ne sono conferma. Il disco è impreziosito dalla presenza di Taj Mahal che interpreta Everything a Good Man Needs, uno shuffle che Scott ha scritto insieme all’ultimo dei fratelli Allman e che per una serie di coincidenze non è finito in Southern Blood, ormai leggendario album d’addio di brother-Gregg.
MARKUS KING – CAROLINA CONFESSIONS
In questo disco, indubitabilmente, si sente in modo indiscutibile il permanere nell’aria del sound della ABB. Il giovanissimo Marcus King (poco più che ventenne, figlio d’arte con un padre celebre – è Marvin King – e un nonno chitarristi country-blues) sostanzialmente scoperto da Warren Haynes, conferma con questo suo terzo album di essere portatore di un messaggio musicale capace di lasciare il segno anche negli anni futuri. Ottimo chitarrista, buon autore, circondato da una band onesta e precisa, Marcus segue ad intuito il sound che è stato di Jessica e di Blue Sky (quindi di impronta “bettsiana”) e lo sposa con quelle venature soul-pop che sono anche della Tedeschi-Trucks band (e non a caso Derek è suo sostenitore dagli esordi). Strepitoso l’inizio dell’album, con una Confession da brividi (che pare nell’incipit citare Almost Cut My Hair), in cui gli ottoni e l’Hammond costruiscono il perfetto territorio per la Gibson 335 e per la voce abrasiva di King. La romantica Side Door fa pensare a Mike Bloomfield, mentre Where I’m Headed e Goodbye Carolina realizzano il perfetto mix elettroacustico di un suono che si radica tra Georgia e Mississippi. Un mix che lascia senza parole per la capacità di affondare le radici nella musica di qualità di tutti i Seventies americani: il giovane King ha 22 anni e scrive come se avesse decenni di esperienza alle spalle. Un giovanissimo che senza troppi fronzoli ha dichiarato che il titolo del disco, Carolina Confessions e della prima canzone, vengono dalla sua tradizione famigliare cattolica: “lo dico da non praticante: la confessione mi ha sempre attratto. L’idea che tu ti puoi liberare dai tuoi pesi consegnandoli ad un essere superiore è stupenda”.
E GLI ALTRI?
In questo periodo sono usciti anche il bel disco blues di BILLY GIBBONS, fondatore degli ZzTop e barba bianca di leggendaria presenza scenica. Il suo BIG BAD BLUES è un buon prodotto, di perfetto “zztop-sound”: chi dipende spiritualmente dalla band texana deve in ogni modo impossessarsene. Dopo anni di sbandamenti sono tornati in scena anche i BLUES TRAVELER, la più sudista delle jamming band: HURRY UP AND HANG AROUND non raggiunge i fasti del mitico Travelers and Thieves, ma Popper e i fratelli Khinchla sono tornati ad ottimi livelli creativi. Leggero e godibile (ma anche senza particolari emozioni) è il ritorno di SHOOTER JENNINGS: dopo il bizzarro tributo a Giorgio Moroder uscito due anni fa, il figlio di Waylon e Jessi Colter esce con SHOOTER e conferma il suo mix di country, southern e rockabilly. Fast Horses and Good Hideouts è una canzone di alto livello, che regge il confronto con le sue celebri Lonesome blues e Southern Comfort. Di livello non particolarmente alto, invece, è il ritorno su disco di uno degli ultimi beniamini del rock americano con radici sudite: ERIC CHURCH, pur buon interprete a stelle e strisce, non convince particolarmente nel nuovo DESPERATE MAN. Meglio riascoltarlo nell’ottimo The Outsiders, il disco della sua consacrazione.
Per chi cerca anche in musica qualche traccia di storia segnaliamo l’uscita di VOLUNTEERS BAND 2018, cd live che celebra la leggenda di CHARLIE DANIELS. Buon disco, come sempre per la varietà degli ospiti che comprende Devon Alman e Duane Betts (accoppiata di figli d’arte), gli Alabama, gli Skynyrds, Travi Tritt e i Blackberry Smoke. Ed, ovviamente mister Daniels, che ha compiuto la bellezza di 82 anni. Non male per il violinista che si era fatto beffe di Belzebù nella mitica The Devil Went Down to Georgia.
Due suggerimenti per finire. Sono usciti due album che per certi versi possono richiamare l’attenzione di chi bazzica il southern. Il primo è l’ottimo disco di MIKE FARRIS, cantante e fondatore degli Screaming Cheetah Wheelies (quelli di Ride the Tide, Magnolia e Boogie King), il secondo è il live registrato al Ryman di Nashville da JASON ISBELL, ex tostissima chitarra solista dei Drive By Trucker. Si tratta di due album decisamente belli. Il primo, SILVER AND STONE, è un disco di soul-rock di altissima levatura. Farris canta e scrive in modo maturo e autorevole, e l’ispirazione di Muscle Schoals regna sovrana sul sound e sulla produzione. Per Isbell, invece, LIVE FROM THE RYMAN è registrazione di uno show insieme ai suoi 400 Units ed alla moglie Amanda Shires: il suo terreno ormai è cosparso di belle ballate acustiche e di country-rock di pura ispirazione Seventies. Cover me Up (acustica) e Super8 (elettrizzante) rimangono forse le sue punte più alte.