Nell’ambito del Festival Verdi 2018, nel delizioso piccolo teatro di Busseto (patria del compositore) viene presentata Un giorno di regno, seconda opera verdiana, un commedia “comica” od una ‘ farsa giocosa’, genere a cui Verdi tornò soltanto cinquanta anni più tardi con Falstaff. Composta, per disperato bisogno di denaro in un periodo in cui morirono, prima, i due figli e poi, la moglie nel 1840 l’opera resse un giorno solo alla Scala; è stata ripresa sporadicamente nell’Ottocento (ad esempio, al San Carlo). Nonostante negli Anni Sessanta Massimo Mila e Gabriele Baldini la abbiano rivalutata, la sua messa in scena è una rarità. E’, però, spesso allestita da Music Schools di università americane perché richiede una vocalità semplice e grandi doti attoriali; è quindi, particolarmente indicata a giovani che si preparano ad una carriera nella lirica. Correttamente, nella produzione che si replica sino al 21 ottobre, si alternano due cast, scelti, in gran misura tra i vincitori dei concorsi annuali per voci verdiane.
L’intreccio – tratto da una commedia francese messa in musica più volte – riguarda i tentativi di un nobile spiantato di farsi credere il Re di Polonia allora in esilio. Non mancano situazioni divertenti nel libretto di Felice Romani (conosciuto soprattutto per la sua collaborazione con Vincenzo Bellini), ma la partitura del 27enne Verdi è piuttosto incolore e fiacca, specialmente se raffrontata con lo champagne che all’epoca offriva Rossini e l’eleganza proposta da Donizetti. Non mancano momenti musicali di livello quali il duettino tra i due bassi ed i due concertati alla fine di ciascuno dei due atti. Ben caratterizzato il personaggio della Marchesa del Poggio, vera protagonista del lavoro, un personaggio a cui librettista e compositore danno un certo approfondimento psicologico.
La regia di Massimo Gasparon (responsabile anche di scene, costumi e luci) e la bacchetta d Francesco Pasqualetto ( alla guida dei complessi del Teatro Comunale di Bologna – il cui coro è guidato da Andrea Faidutti) riescono a rendere lo spettacolo grazioso e gradevole, anche perché il minuscolo teatro di Busseto è una vera bomboniera che sembra particolarmente adatta a questo genere di lavoro. Ho visto ed ascoltato l’opera in teatri di più grandi dimensioni con esiti meno brillanti.
Il lavoro di Gasparon si basa su un progetto del 1997 di Pierluigi Pizzi per il Regio di Parma e per il Comunale di Bologna. Date le dimensioni della bomboniera di Bussetto, il progetto è stato, in buona misura, rifatto. L’azione si svolge in un luogo che assomiglia al Palazzo della Pilotta di Parma. Ha l’andamento di un minuetto. I costumi dei protagonisti sono sgargianti. Quelli del coro smorzati. Eleganti i movimenti ed i passi di danza (o quasi),
Il 28 settembre, sera in cui ho assistito allo spettacolo, il cast era prevalentemente italiano (l’altro è principalmente straniero). Bravi e volenterosi. Meritano di essere ricordati il baritono Michel Patti e i due bassi Giulio Mastrototaro e Matteo D’Apolito , nonché i soprani Gioia Crepaldi e Cardenas Alfonso. Il giovane tenore lirico Martin Susnik ha destato molte aspettative nel primo atto ma al secondo ha mostrato di avere ancora da studiare.
Sono giovani e vanno incoraggiati. Nel piccolo, ma strapieno teatrino di Busseto, l’applauso è stato generoso e caloroso.