Le Trouvère è la vera novità del Festival 2018 di Parma. Una produzione da vero grande festival internazionale che anche il Festival di Salisburgo sarebbe orgoglioso di mettere in scena.

E’ la terza opera in programma nella manifestazione ed è uno spettacolo veramente eccezionale, che si potrà vedere anche al Teatro Comunale di Bologna (che lo co-produce) la prossima stagione e che Change Performing Arts (terzo co-produttore) promuoverà negli Stati Uniti, in altri Paesi europei e forse in Asia. Solamente a Parma, però, può essere visto in quella cornice magica che è il seicentesco Teatro Farnese,



Le Trouvère non è il rifacimento di un’opera italiana per il pubblico francese come ad esempio, Jérusalem rispetto a I Lombardi alla Prima Crociata. E’ un semplice adattamento in cui la partiture de Il Trovatore resta in gran misura immutata ma per rispondere alle regole dell’Opéra di Parigi vengono fatte due aggiunte: a) un balletto di circa 25 minuti al terzo atto; e b) la ripresa del coro fuori scena de Il Miserere nel finale, che i gusti francesi volevano più grandioso di quanto non fosse nella versione originale italiana. L’esecuzione di Le Trouvère è ora una rarità anche in Francia per ragioni di costo e di durata (ambedue imputabili al balletto). Si tratta , quindi, di una rarità da Festival.



A tale aspetto se ne aggiungono altri due: a) il luogo; e b) la regia di Robert Wilson, in stretta intesa con il maestro concertatore e direttore d’orchestra Roberto Abbado. Il Teatro Farnese non è stato concepito per spettacoli operistici o di danza ma per giochi equestri ed anche battaglie navali. E’ un luogo splendido destinato a 3000 spettatori nelle ampie gradinate. Dal seicento a tempi recenti è stato utilizzato solo otto volte, a ragione degli alti costi. Per questo Le Trouvère (ultima opera che si rappresenterà in questo spazio a ragione di un fermo divieto della Sovrintendenza dei Beni Culturali), le gradinate restano off limits e circa cinquecento spettatori si accomodano in platea. Il palcoscenico è una grande scatola a forma di cubo con una parete aperta sulla buca d’orchestra e sul pubblico (un marchingegno per rendere accettabile l’acustica).



La regia di Wilson e dei suoi collaboratori  — Nicola Panzer, Stephanie Engeln, Solomon Weisbard, Julia von Leliwa, Manu Halligan, Giovanni Firpo, Tomek Jeziorski and José Enrique Macián- spazza via tutte le convenzioni adottate per rendere plausibile l’improbabile trama; dai castelli in cartapesta alle celle dipinte. Altamente astratta, minimalista  e stilizzata, con l’ausilio di qualche proiezione (cartoline di Parma nel primo Novecento, una mareggiata), si concerta sul dramma interiore dei quattro protagonisti. Gli altri – i comprimari, il coro- sono come ombre cinesi, Gli stessi quattro protagonisti si muovono poco e simmetricamente ; si esprimono con gli occhi e misurati movimenti delle mani. Ed il balletto? Dato che la vicenda è imperniata sul conflitto tra due eserciti diventa un match di box.

Abbado dirige l’orchestra del Teatro Comunale di Bologna sottolineando tutte le sfumature della partitura e della messa in scena. Andrea Faidutti dirige con maestria il coro sempre del Comunale bolognese. Tra gli interpreti spiccano Franco Vassallo (anche per la sua ottima dizione francese) e Roberta Mantegna (per la sua ampia e ben modulata voce). Bravi Giuseppe Gipali e Nino Surguladze. Di livello tutti gli altri.

Il pubblico è rimasto incantato; dieci minuti di ovazioni nonostante la mezzanotte fosse passata.