Prima c’è un video, Vasco Rossi in studio con una chitarra acustica. Lascia andare qualche accordo come se dovesse cominciare un pezzo. Invece parla, recita qualche verso della nuova canzone, si lascia andare a dei commenti divertiti. “La verità è del primo che la dice da duce… la verità è la tv… la verità è nei talk show dove si cercano i colpevoli”. Ridacchia. Poi gli sfugge un verso da sopravvissuto degli anni 70 (“tu sai da che parte stai?”) che ricicla il vecchio slogan degli attivisti americani, “which side are you on”, da che parti stai. Era il tempo dei buoni e dei cattivi, il mondo diviso fra i giusti e gli sbagliati e tu dovevi dire se stavi con il sol nascente della rivoluzione o con i fascisti. Forse Vasco lo cita in modo ironico, non lo sappiamo perché di un brano che si intitola La verità tutto c’è tranne che appunto la verità. E in modo sconfortante lo dice lui stesso alla fine del breve video: “queste sono le domande che la canzone fa non dà risposta l’unica cosa certa è che si finisce sempre per sposare una verità”. Tutto è relativo e dunque chi se ne frega.
Poi c’è il video ufficiale uscito oggi: scintillante, patinato, superlusso come può permettersi un musicista miliardario come lui, e la canzone vera e propria. Una bella ballatona rock scritta con il suo primo batterista storico Roberto Casini che smise di accompagnarlo nel 1984, ben suonata, ben cantata, un po’ ripetitiva, di quelle che ormai Vasco sforna a manetta, bella pronta per andare in rotazione sulle radio e le tv e infiammare il suo pubblico.
“LA VERITÀ” DI VASCO ROSSI
Nel testo qualche accusa ben centrata, come quelle alla televisione (ma Enzo Jannacci lo diceva già decenni fa che “La televisiun la g’ha na forsa de leun la televisiun la g’ha paura de nisun la televisiun la t’endormenta cume un cuiun”) o i patetici talk show costruiti su risse inventate e colpevoli inesistenti. C’è poi l’usuale anima libertaria e anarchica dell’uomo che conosciamo da sempre: no proibizionismo, sì a fare quel che si vuole (droghe e alcol compresi ovviamente): “Si cercano i colpevoli, si ascoltano psicologi / ognuno sa chi è stato o chi sarà / si vietano gli alcolici, proibizionisti isterici / vietato stare qui e stare là / E tutti pronti a crederci al primo che lo sa / per continuare a chiedersi / dov’è, come si veste, quanto costa / che cos’è, che faccia ha”.
Alla fine la solita disperazione, la solita solitudine, la solita incapacità di afferrare la vita, lasciandosela passare sopra: “La verità non è così banale / la verità, la verità è una faccenda personale / la verità è la televisione / la verità, la verità è che non c’è niente da salvare”. E ancora: “La verità disturba sempre un po’ è che ce ne è sempre una migliore può essere un errore la verità non ha bisogno di scuse la verità”. Presentata come una sorta di canzone di protesta contro il mondo delle fake news, in realtà l’impressione è che sia una canzone di arresa. Ma questo fa parte di lui e ammiriamo la sua costanza, il suo rimanere fedeli a se stessi. Suggerisce, senza approfondire, come è giusto che sia una canzone rock, che sta a noi trovare la verità, ma non dice come. Dice di evitare luoghi pericolosi come la televisione, ma non parla dei social, dove la verità è strangolata. Non si spinge fino in fondo, resta in superficie, come se avesse o non sapesse dove guardare. Non si può sempre lanciare il sasso e nascondere la mano. Ma anche questo è rock.