La Trilogia d’autunno, alla settima edizione, è diventata una caratteristica di Ravenna, città di circa 80.000 abitanti con un gloriosissimo passato e molto attiva sia nell’industria e commercio, sia nelle arti, nella cultura e nello spettacolo. La Trilogia si aggiunge alle sei settimane del Festival estivo in giugno e luglio e precede una ricca stagione invernale e primaverile di lirica, balletto e concerti. Ormai Ravenna è diventata la Salisburgo italiana. Lo dimostra il fatto che nella prima seria della Trilogia (23-25 novembre), metà della platea era occupata da spettatori stranieri venuti in gran misura da Paesi nordici (Finlandia, Svezia, Olanda, Gran Bretagna), oltre dalla più vicine Austria, Germania e Francia. Organizzati spesso in comitive che tra Festival estivo e Trilogia autunnale, vengono nell’antica Capitale imperiale almeno una volta l’anno.



Provengono da Paesi dove c’è molta attenzione alla musica ed alle arti. Si aspettano, quindi, qualità. E la ricevono. Per questo motivo si sono ‘fidelizzati’. Con loro arrivano anche sovraintendenti e gestori di teatri musicali di Paesi esteri, che, a volte, importano spettacoli interi prodotti a Ravenna.

La Trilogia consiste in tre spettacoli musicali (di solito opera lirica ma due edizioni sono state dedicate, rispettivamente, al balletto ed all’operetta) rappresentati tre sere successivamente, in tre tornate o serie, e collegati da un tema e soprattutto dalla medesima regia ed ideazione scenica.



Anima delle Trilogie di opere liriche, nonché creatrice del Festival, è Cristina Mazzavillani Muti. Quest’anno la Trilogia è stata dedicata a tre opere di Verdi (Nabucco, Rigoletto, Otello) che rappresentano tre momenti dello sviluppo artistico del compositore: hanno rispettivamente debuttato nel 1842, nel 1851 e nel 1887. Sono tre modi diversi non solo di concepire il teatro in musica (da uno spettacolo ancora legato agli stilemi di Rossini e Donizetti ad una risposta originale al musikdrama wagneriano) ma di vedere le varie facce del potere (tema dominante di questa trilogia come sottolineato da uno studioso di vaglia quale Guido Barbieri).



Riferirò sugli aspetti musicali delle singole opere su un mensile specializzato. In questa sede, mi pare più interessante riassumere le lezioni che si possono trarre da questa esperienza ravennate, ormai consolidata, per altre città d’arte, italiane e straniere, dove ci sono teatri storici di medie dimensioni (dai 700 ai 1.200 posti) spesso bellissimi, come il Teatro Alighieri di Ravenna (800 posti), ma, a volte anche per vincoli legati alla tutela dei monumenti e delle opere architettoniche, non attrezzati a mettere in scena, in tre serate, tre allestimenti differenti di tre opere.

Le produzioni devono, poi, soddisfare un pubblico che non vuole necessariamente vedere regie sperimentali come – cito casi concreti – un Nabucco collocato nella persecuzione nazista contro gli ebrei, od un Rigoletto in un ospedale neurologico per malattie mentali oppure un Otello in un centro di identificazione d’immigrati appena sbarcati da un gommone. In Nabucco, ad esempio, si aspettano i palazzi ed i giardini pensili di Babilonia, in Rigoletto i banchetti lussuriosi alla Corte di Mantova ed in Otello la Cipro rinascimentale sotto il dominio veneziano.

La ricetta, rodata nelle precedenti Trilogie ed ormai diventata un marchio di fabbrica di questo appuntamento autunnale ravennate (le cui produzioni sono state riprese da altri teatri – una è stata in giro per diversi anni dal debutto), è semplice: a) cast e masse artistiche giovani ma non principianti e soprattutto scelti con una seria selezione internazionale; b) impiego delle tecnologie più moderne per l’apparato scenico, puntando in gran misura su luoghi non solo attinenti al libretto ma conosciuti.

Il cast è giovane, ma non esordiente o quasi. Si sono ascoltate ottime voci già all’inizio della carriera come i tre protagonisti di Otello (Mikheil Sheshaberidze, Luca Micheletti, Elisa Balbo), la Abigaille di Nabucco (Alessandra Gioia), ed il protagonista di Rigoletto (Andrea Borghini)Anche gran parte dei loro colleghi in questa Trilogia non sfigurerebbero sui palcoscenici delle maggiori fondazioni liriche. In buca l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, creata da Riccardo Muti nel 2004 e rinnovata ogni anno o quasi (tutti gli strumentisti hanno meno di trent’anni) guidata da abili concertatori come Alessandro Benigni, Hossein Pishkar e Nicola Paszkowski. Infine, il Coro Lirico Marchigiano ‘Vincenzo Bellini’ preparato da Martino Faggiani, Musicalmente, quindi, una formazione di alta classe.

La scenografia fa grande uso di proiezioni spesso di immagini di luoghi ed ambienti noti. Ad esempio, la Babilonia di Nabucco è costruita su riprese del Pergamonmuseum di Berlino con uno zoom che ne accentua effetti e dettagli muovendosi in sintonia con musica e canto. Immagini del vero Palazzo Ducale e del vero Palazzo Te di Mantova incorniciano la vicenda di Rigoletto. Per Otello si opta per una semplice scena unica, una scalinata, un’attrezzeria minima e giochi di luce, nonché effetti speciali per la tempesta e l’approdo della nave del protagonista. Il team creativo, diretto da Cristina Mazzavillani Muti, include un visual designer (Davide Broccoli), un light designer (Vincent Longuemare), uno specialista di immagini (Paolo Miccichè) e tecnici tutti di base a Ravenna. Il risultato è non solo un apparato scenico attraente (e sincronizzato con libretto e musica) ma che abbatte i costi e facilita i cambiamenti di scena e di spettacolo, nonché le tournée. Per i costumi si utilizza l’ampia scelta dei magazzini della Casa Tirelli. In breve, un modo ingegnoso di fare teatro in musica.

In tre giorni alla Trilogia verdiana a Ravenna ho visto ed ascoltato Verdi di maggior qualità che al festival dedicato da Parma al compositore.