Anche quest’anno è andata. In fondo lo hanno pensato o detto tutti quelli rimasti fino a oltre l’una di notte ad aspettare un verdetto che resterà nella storia: ha vinto la canzone che aveva rischiato l’eliminazione, subìto la sospensione del giudizio e poi riammessa. Ma non era successa una cosa simile con Amen di Gabbani qualche anno fa, che vinse dopo un errore (??!?) nel calcolo dei voti? Non è che forse c’è qualcosa di vero nella faccenda dei vincitori annunciati che in un modo o nell’altro devono arrivare? Ai “Poster” – rovinata qualche sera fa dai Negramaro – l’ardua sentenza. Noi chiniam la fronte e concludiamo la prima parentesi polemica, passando ad un po’ di cronaca.
Dopo l’insopportabile sigla “popopopo” appare un Baglioni in giacca rossa e dopo breve predica di ringraziamento, ricanta il vincitore di quelle che un tempo si chiamavano le nuove proposte. Anche questa canzone conferma quella che sembra essere la costante principale di moltissime delle canzoni presentate al Festival: prima strofa bassa ed intima-che-ci-arrivo-a-malapena- e che poi esplode dopo. Non so se emozionato o no, ma Ultimo canna clamorosamente l’attacco della seconda strofa. Favino ormai sciolto legge il regolamento e via al televoto!
Apre Barbarossa con la sua storia familiare in romanesco, presentata aggirando il divieto a canzoni in dialetto, ma tant’è, non è certo l’unica né la più grande infrazione al regolamento… Una buona performance, impossibile sbagliare, melodia semplice ma ben interpretata. Red Canzian fa il suo, rock possente, anch’esso (in un altro senso) un po’ datato. Regge vocalmente decisamente meglio dei suoi ex soci Pooh. E si passa ai The Kolors. Qui la potenza è moltiplicata e il brano è perfetto per loro, furbamente rivolto al pop internazionale e molto coinvolgente, la performance vocale è anch’essa molto convincente, lo ammetto quasi a malincuore, ma è una evidenza.
L’ospitata di Laura Pausini con annessa telefonata di Fiorello riporta la serata abbastanza nei canoni classici. Un pezzo nuovo che annuncia il tour internazionale, la bellissima Avrai cantata insieme a Baglioni e un pezzo di repertorio che le permette, uscita dal teatro (con la laringite?) di riaffermare la sua grande fidelizzazione del cliente, ooops, dei fan. Piaccia o non piaccia la Pausini, fra non molto rimpiangeremo tanta professionalità a seguito di un’altra ospitata quanto meno indegna.
Elio e le storie tese e la loro Arrivedorci mi hanno causato un po’ di tristezza. Una canzone costruita, quasi scolastica per riaffermare sempre lo stesso concetto, anche andandosene: non dire niente suonando benissimo.
Diverso il caso di Ron, che comunque gioca molto sull’effetto nostalgia con una canzone decisamente buona, ma secondo me non eccelsa. Max Gazzé ha portato una canzone intensa, tendente all’epico, con un arrangiamento ben scritto ed altisonante, che però a me non dà il pugno nello stomaco. Livello alto, ma un filo spento.
La giovane Annalisa non è più una novità, vocalmente è l’artista che a me piace di più, precisa, intensa, leggera al punto giusto, racconta la sua storia porgendola bene. Al tempo stesso sta sul groove del pezzo senza esitazioni e con grande scioltezza e naturalezza. Un dono da custodire per la canzone italiana, al contrario di Renzo Rubino, sul quale, pur avendo lo stesso verbo nel titolo della canzone, preferisco sorvolare.
Vado un po’ più svelto con la cronaca perché c’è ancora tantissima roba di cui parlare. Con Ruggeri-Decibel e Vanoni-Pacifico-Bungaro si prosegue con canzoni di qualità per poi sprofondare con il pezzo di Giovanni Caccamo. L’attacco di Volare e il ritornello di Perdere l’amore messi insieme per assemblare una canzone cantata veramente male.
D’altronde rubare da altre canzoni per meno del 33% nun è ppeccato, ma almeno cantarla. E siamo – a quanto dicono tutti tranne me – alla vera rivelazione del Festival, Lo Stato Sociale. A mio avviso, l’onda lunga del Karma di Gabbani, con una spruzzata di circo in cui al posto di nani e ballerine c’è un gigante con la ballerina anziana. Strofa impalpabile, ritornello divertente. Punto. Il successivo siparietto fra i conduttori con i fuori onda è forse l’unico sketch veramente divertente di tutta la kermesse.
Due artisti a fine corsa e due un po’ nel limbo portano avanti lo show. Fogli ancora ascoltabile, Facchinetti inaccettabile, Diodato vocalmente centrato, Roy Paci un po’ fuori posto, ma ci prova. E si arriva ad un monologo di Favino, tratto da un suo spettacolo dell’anno scorso, sul dramma degli emigranti (scusate la e, mio padre lo era e non riesco a toglierla), che porta alla bellissima Mio fratello che guardi il mondo interpretata dalla Mannoia, che cantando solo questo pezzo, lo deve/vuole condividere con Baglioni-pesce-fuor-d’acqua, quando l’acqua non è la sua.
Con l’allegra combriccola con cui stiamo guardando il Festival contiamo quanti ne mancano, e sono sei. E andiamo. Nina Zilli non è molto costante, ma tutto sommato si conferma buona interprete. Noemi, salvata la sera prima da Paola Turci, canta una canzone non male con una voce troppo sbracata, che dà quasi l’impressione di essersi rovinata per sempre. Meta e Moro ricantano la pietra dello scandalo: indubbiamente (e ruffianamente) la canzone ti si attacca addosso, il tema è furbo e proposto nel momento giusto. Forse per questo deve vincere, modificando il regolamento del Festival come uno che va a farsi ammazzare in Svizzera.
Si chiude, ormai verso mezzanotte, con Mario Biondi e la sua canzone jazz-di-maniera-sentimental-confidenziale, la pacca rock delle Vibrazioni che occhieggiano ai Foo Fighters e la mediterraneità altrettanto di maniera di Avitabile e Servillo.
Prima della fine c’è tempo per ospitare sul palco Nek, Francesco Renga e Max Pezzali, che scelgono la maniera peggiore di lanciare il loro tour insieme, rovinando malamente un classico della canzone italiana come Strada Facendo. Ovviamente Baglioni dà la birra ai tre, che non si sono nemmeno presi la briga di studiare il pezzo (come se ce ne fosse bisogno, noi in salotto l’abbiamo cantata tutta all’unisono senza neanche sbagliare le parole).
Divertenti invece Baglioni e Favino (con il coro dei ‘Discreti’) nell’omaggiare a 50 anni di distanza Louis Armstrong, in gara a Sanremo nel 1968 senza saperlo, e fatto scendere a forza dal palco dove voleva restare perché i 32 milioni del cachet gli sembravano troppi per cantare una sola canzone… altri tempi. Imbarazzante quanto Strada Facendo con l’aggiunta della caciara da sagra di paese, invece, La canzone intelligente, presunto omaggio a Jannacci in cui e direttore artistico e conduttori si aggiunge la Impacciatore.
Bene è tempo di verdetti: il pubblico rumoreggia man mano che viene sgranata la classifica, ma d’altronde qualcuno deve essere collocato anche negli ultimi posti. Così al volo, non mi sorprende l’ultimo di Elio, fin troppo in alto Rubino e Caccamo, forse un po’ poco il nono posto per i The Kolors. Per il resto direi che ci può stare. Podio per Annalisa, Stato Sociale e Meta-Moro.
Ron vince il premio della critica con il brano Almeno pensami, mentre il premio della sala stampa è andato a Lo Stato sociale. Ornella Vanoni con Bungaro e Pacifico ottengono il riconoscimento «Sergio Endrigo» alla migliore interpretazione. Il premio Sergio Bardotti per il miglior testo è stato vinto da Mirkoeilcane, e questo sinceramente non me lo spiego. Oltretutto il ragazzo scivola su una buccia di banana, cercando di fare un complimento al brano di Fossati eseguito poc’anzi chiamandolo “quella cosa lì” e Mio fratello che guardi il mare anziché il mondo. Della serie: a stare zitto ci facevi più bella figura.
Il premio Bigazzi alla miglior composizione musicale è andato a Max Gazzè. Il premio Tim Music alla canzone più ascoltata sulla app, infine, è stato vinto da Ermal Meta e Fabrizio Moro. A cui va anche la vittoria finale, secondo lo Stato Sociale, terza (a malincuore) Annalisa. E nicchie ben rappresentate.
Non so se io sia la persona più adeguata per un giudizio complessivo. Per estrazione, formazione e mestiere, tendo sempre a tenere separato l’aspetto musicale da quello televisivo e mediatico, e molti amici mi dicono che non si fa più così. Posso provarci, in breve, e non garantisco.
Per non chiudere con la polemica, la dico subito: come già scritto su questa stessa testata da Marco Mangiarotti, a me sembra inaccettabile che una canzone identica ad un’altra già pubblicata e presentata ad altri concorsi possa non solo farla franca, ma vincere. Se si sovvertono le regole, d’ora in poi vale tutto. E mi fermo qui.
Tutto sommato mi è sembrato un buono show, forse un po’ troppo incensato (non so se, come è stato scritto, il migliore degli anni 2000 e forse prima). Come è natura che sia, molto nazional-popolare e sempre attento a cercare di includere la maggior parte delle maggiori tendenze musicali del momento, con il giochino delle nicchie in cui riconoscersi. In questo, forse anche un po’ debitore del formato dei talent, di cui Sanremo tutto sommato fu il progenitore, e da cui oggi prende a prestito qualcosa. Di musica ce n’è stata, di arrangiamenti anche, qualche buon auspicio per il futuro pure, tanta roba oggettivamente inutile. A voi giudicare in quale proporzione. Esco dalla bolla e riprendo a vivere.