Otto dischi alle spalle e scoprirlo adesso, con il nono appena uscito, la dicono lunga di che sottobosco realmente underground esiste in Italia nella scena cantautore. Uno pensa che tutto quello che c’è in giro siano i ragazzini dei talent show (la cui carriera finisce mediamente un anno dopo aver fatto credere loro di essere le star del futuro) e il mondo indie, dove cantautori tristi ci raccontano le menate della loro vita quotidiana. Non vendono neanche loro, ma tutti i media fanno a gara a dire che sono il volto vero e non commerciale della scena musicale italiana. 



Invece c’è in giro gente in gamba, innamorata della forma classica (e dunque quella valida) della canzone d’autore, che non hanno il privilegio di essere “pompati” da uffici stampa che non possono permettersi dal punto di vista economico o da critici che fanno di tutto per sembrare alla moda e “giovani”.



“Gospel” nuovo – e nono – lavoro discografico del romano Valerio Billeri ci dice che la musica valida ci tocca cercarcela o aspettare che venga a trovarci da sola. Ottimo chitarrista acustico, dotato di un fingerpicking notevole capace di passare dal blues al folk più vivace, ha prodotto una sorta di tributo personale ai grandi che lo hanno indirizzato nel corso della sua vita e si discosta dal più complesso “Giona” suo precedente lavoro che lui stesso considera tra i più riusciti. In questo disco una manciata di canzoni in chiave semplice e diretta, registrato con pochi accorgimenti strumentali, notturno e ricco di rimandi a un mondo antico. Le sue canzoni sono personali, ma attraverso di esse scorre l’anima di tutti, quella inquieta e desiderosa di pace. 



L’iniziale Gospel è fortemente ispirata, quasi una cover, alla celebre Black Eyed Dog di Nick Drake, con il suo serrato fingerpicking di matrice blues. La resa è notevole.

San Domenico delle Serpi è una tenue ballata folk con percussioni che ricorda il primo De Gregori, e ha un interessante background, fa riferimento alla festività di matrice pagana e poi diventata in onore del monaco che fondò monasteri tra Lazio e Abruzzo, in cui i serpari dopo essere andati alla ricerca di serpenti alla fine di marzo, il primo maggio li mettevano in mostra.

La mia morosa la va alla fonte è il brano di Enzo Jannacci che prende l’ispirazione musicale da un canto popolare del XV secolo e che a sua volta venne ripresa da De André facendola diventare Via del Campo, riconoscendone il copyright a Jannacci solo decenni dopo. Billeri la riprende a sua volta in modo soffuso con l’accompagnamento di un banjo.

Il canto del gallo gode di maggior accompagnamento strumentale come un bel violino, atmosfere tex mex che si mischiano a quelle mediterranee in un modo riuscito e piacevole. Anche qui si canta di feste popolari, di gente di altri tempi, un mondo probabilmente migliore di quello attuale.

Un mondo antico che appare come una sorta di leggenda medievale anche Sotto un cielo di rame, slow balda con percussioni e mandolino. Il disco scorre senza annoiare ed è la volta di Racconti di inverno, ancora un bel fingerpicking dai toni blues e ancora ispirato a Nick Drake. In Le mille e una notte Billeri mette in mostra le sue capacità chitarristiche toccando le accordature aperte di David Crosby, fino a Lungo treno nero, ancora fingerpicking bluesato, ancora De Gregori nel cuore, ma quello dell’ultimo periodo. La versione su cd contiene anche una ghost track, una ambiziosa rilettura in italiano della dylaniana Boots of Spanish Leather, canzone per niente facile da rendere nella nostra lingua, ma in questo caso riuscita. 

Nel disco figurano Gian Luca Figus al banjo, percussioni, piano, basso;,seconda Voce e produzione artistica; Damiano Minucci banjo in la Mia morosa, chitarra acustica in nel Lungo treno nero, chitarra elettrica; Emanuele Carradori percussioni in Canto del gallo e su Verso Sud ;Lucia Comnes violini ; Emanuele Luzi basso in un lungo treno nero (il disco lo trovate qui https://valeriobillerieleombrelettriche.bandcamp.com/album/gospel)