Molto bello vedere, il 22 febbraio, il nuovo teatro d’opera di Firenze straripante in ogni ordine di posti, con la seconda galleria piena di liceali – un chiaro segnale che la situazione sta cambiando. In meglio. In scena, La favorite di Gaetano Donizetti nella versione francese, mai rappresentata a Firenze, sul podio Fabio Luisi direttore musicale designato del Maggio Fiorentino.
La favorite, la cui prima ebbe luogo all’Opéra di Parigi nel 1840 con grande risonanza, è uno dei più importanti lavori del periodo francese di Donizetti; più nota al pubblico nella versione italiana – realizzata poco dopo il successo parigino – di Francesco Iannetti il cui adattamento in versione ritmica, puntava ad attenuare, o addirittura a cancellare di fatto, tutti i riferimenti più scabrosi, rendendo la vicenda a tratti priva di mordente, quando non del tutto incomprensibile. Viene presentata al Maggio nell’originale versione critica e filologica francese curata da Rebecca Harris-Warrick nel 1997 per Ricordi.
La favorite ha avuto una stesura travagliata: nasce come rielaborazione de L’ange de Nisida, opera che non andò mai in scena perché il teatro parigino (il Théâtre de la Renaissance) che l’aveva commissionata fallì lo stesso anno e il libretto originario, che trattava dell’amante di un re di Napoli, avrebbe avuto problemi con la censura italiana. Gaetano Donizetti scelse di unire alla base musicale qualche scrittura nuova e soprattutto parti da altre sue opere, come l’Adelaide (anche essa mai andata in scena), L’assedio di Calais, Le duc d’Albe, Pia de’ Tolomei, e presentò all’Opéra un dramma musicale in cui la vicenda, trasposta nella Castiglia del XIV secolo, narra la passione infelice tra Fernand e Léonor, la favorita di re Alphonse XI.
Nonostante Donizetti avesse attinto a suoi lavori differenti tra loro, La favorite è molto unitaria stilisticamente e coesa dal punto di vista drammaturgico. E’ un’opera che vive di tutto ciò che vive tutta l’opera del primo romanticismo: bellissimi finali, bellissime melodie e arie, duetti – mirabili quelli iniziali e finali tra Léonor e Fernand – e offre uno strepitoso quarto e ultimo atto che fece entusiasmare anche Toscanini che lo definì una delle più belle pagine mai scritte nella prima metà dell’Ottocento
Ricordo una messa in scena molto coesa di Walter Pagliaro nel 2002 al Teatro Comunale di Bologna con Maurizio Benini alla direzione musicale, Sonia Ganassi e Giuseppe Filianoti; la complessa vicenda era ambientata in una sala cinematografica durante la guerra di Spagna
L’allestimento presentato a Firenze viene dal Liceu di Barcellona in co-produzione con il Real di Madrid. E’ un allestimento che gira da moli anni; ricordo di averlo visto a Barcellona, con Richard Bonynge sul podio, nel 2005. Il regista Ariel Garcìa-Valdès non tenta di dare un senso alla vicenda (che pur, specialmente nella versione francese, potrebbe averne), ma si limita a illustrare la musica. L’impianto scenico unico (un torrione girevole su cui si aprono vari spazi) è volutamente minimalista; ci dobbiamo immaginare sia il monastero di Compostella, sia i giardini dell’Alcazar, sia le isole del golfo del Leon. I costumi sono volutamente atemporali. La scene ed i costumi sono di Jean–Pierre Vergier.
La messa in scena, quindi, fa parlare soprattutto la parte musicale. Che parla alla grande. Sin dalla breve ouverture, le braccia larghe di Fabio Luisi ci rammentano che siamo in quel grand opéra che, in quegli anni, trionfava sulle scene parigini. Una direzione d’orchestra piena di colori; da quelli mistici del monastero di Compostella a quelli sensuali dell’isola del Léon a quelli densi d’intrighi del Palazzo Reale. Una lettura che non fa rimpiangere Bonynge e che promette bene per il futuro del Maggio Fiorentino.
Veronica Simeoni è una Léonor a tutto tondo: riceve applausi a scena aperta sin dalla cavatina iniziale ed una vera e propria ovazione nella grande scena ed aria al terzo atto e nel tragico duetto finale. Alla sua voce brunita viene contrapposta quella chiarissima di Celso Albelo, un tenore lirico dal timbro chiarissimo, fraseggio perfetto ed acuti squillanti. Una rivelazione, almeno per il vostro chroniqueur, il Re di Mattia Olivieri, giovane baritono di agilità, tra l’altro unico tra i protagonisti con una perfetta dizione francese. Di grande livello, il Balthasar di Ugo Guagliardo, Ottimo il coro guidato da Lorenzo Fratini.
Buoni gli altri.
Numerosi applausi a scena aperta ed ovazioni alla compagnia (anche alla regia).