Proprio un bell’anno in cui nascere, il 1967. Lo dice lui stesso: “sono nato l’ultimo giorno dell’anno in cui è uscito Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles ed il primo disco dei Pink Floyd, dei Doors e di Jimi Hendrix; l’anno della summer of love californiana, del festival di Monterey e delle tragedie di Luigi Tenco e di Otis Redding”. 



Piero Chiappano inizia così a raccontare di sé, lasciando intuire che la musica ha fatto sempre parte del suo patrimonio genetico. Musica alla quale si accosta fin da bambino, dopo che la morte del padre irrompe nella sua vita; un’esistenza fino a quel momento piena di quelli che lui stesso definisce “claustrofobici conformismi”, abitudini di una società che tutta la musica degli anni sessanta, che da quel momento in poi si mette ad ascoltare, aveva già messo ferocemente in discussione.



“Abbiamo imparato più da un disco di tre minuti che da quello che abbiamo imparato a scuola”, canta Bruce Springsteen in No Surrender, ed anche per Piero è così. E poi, si sa, una canzone rock è capace di contenere tutto il mondo, e allora l’università, o un qualunque posto di lavoro non sono fatti per lui. Preferisce andare in giro a suonare, finché qualcuno lo nota e, dopo un paio di concorsi vinti, eccolo all’esordio discografico con “La via del sale”, nel 1994, affiancato da ottimi musicisti ed arrangiatori quali Mario Natale e Giorgio Cocilovo, che negli anni si affermano con i nomi di maggior spicco della musica italiana. 



Una strada tracciata? L’inizio di una luminosa carriera? Per niente. Come spesso accade non sono necessariamente gli artisti migliori a raggiungere il successo e l’industria musicale lascia la nave di Piero attraccata al porto, impedendole di prendere il largo. Oltre tutto, Piero continua ad avere una piaga aperta, quella che lui definisce “sensibilità ferita”, che poco si sposa con gli interessi commerciali, mentre la vita, a sua volta, urla senza pietà le proprie pretese. Di musica non si campa ed anche lui sbarca il lunario facendo mille lavori, compreso il venditore di autoricambi, magari pensando che un giorno o l’altro arriverà anche per lui il “giorno che vincerò una lotteria e su una macchina usata non ci metterò più piede”, come canta Springsteen in Used Cars.

Eppure la musica non lo lascia mai. E lui comprende quanto sia importante la cultura. In quegli anni, Piero è passato dalla scuola gregoriana di Cremona, ha studiato i classici, recita a memoria il primo canto della Divina Commedia agli amici radunati per festeggiare il suo trentacinquesimo compleanno. Finché, alla musica ritorna. O forse è la musica a tornare da lui. Si riaffaccia nel momento in cui il matrimonio e la nascita di due figli spalancano orizzonti inattesi, il lavoro si è assestato ed il comporre canzoni non deve essere più qualcosa che ubbidisce alle leggi del mercato. “Tra lavoro e santità” è il disco del ritorno, nel 2016, in cui l’esperienza di una fede in Dio riabbracciata spalanca ad una dimensione di vita quotidiana capace di un nuovo ed affascinante respiro.

Nel gennaio di quest’anno, Chiappano pubblica il suo nuovo lavoro, “Prima che venga la sera”. A suonare con lui ci sono i vecchi amici di sempre ed il risultato è un bel disco in cui brani di robusto rock blues si alternano a dolci ballate. Ma se la musica è importante e sia la chitarra di Cocilovo – tecnica e gusto sapientemente mescolati insieme – che le tastiere e gli arrangiamenti di Natale non deludono, sono i testi di Chiappano a colpire nel segno. 

Prima che venga la sera è un vero e proprio concept album, potente affresco di una società che ha deluso e tradito molti dei suoi protagonisti. La triade di canzoni composta da Il segno della croce, La fine del ceto medio e Italia che sei cristiana, descrive bene il mondo spietato in cui ci troviamo a vivere. Nella prima si narra di una vita divenuta commercio, dove “tutto si compra si vende, chi offre di più / ed ogni volta che espandi la tua volontà / stai solo avendo un rapporto con l’avidità”; così, “prima di uscire fatti il segno della croce / perché c’è un mostro che aggredisce sottovoce / ha il volto ipocrita del mito del progresso / col cuore asciutto e il portafogli bello spesso”. 

La Fine Del Ceto Medio racconta di una cosa che “fu pianificata con cura / da lupi raglianti che avevano paura / di gente che lavorava non solo per denaro / ma si sacrificava per uno scopo meno amaro”. E in Italia Che Sei Cristiana, si parla di “un paese che vede cambiare troppe cose nel suo DNA / e nessuno gli chiede un parere, ma soltanto gli dice si fa”. 

Eppure, a fronte di una società sempre più povera e che perde consistenza e valori, c’è un amore che non viene meno. Il suo canto sembra una sorta di nuovo Viva L’Italia, di degregoriana memoria in quell’Italia che resiste, ma che rigioca se stessa sul rilancio dei rapporti familiari, delle tradizioni, della difesa della vita, soprattutto dove essa appare più debole e indifesa. E il ritmo, da coinvolgente ed incalzante rock stile anni ottanta, vira verso la ballata proprio quando racconta di speranza. Così il paesaggio della bassa milanese, quello ritratto sulla copertina del disco, serve a raccontare “Come è Bella l’Italia Stasera”, quella che si scorge da “un tramonto di periferia”, e che “nel rosso di quest’atmosfera” ha una “fiamma” che  “mi fa compagnia / tra una gioia e una malinconia”. Mentre i versi de Il Popolo Che Amo raccontano di un gruppo di gente ancora “fatto di persone / che credono che la vita / sia un pieno a rendere / e da trasmettere”. La famiglia, al fondo di tutto, è il mattone che consente al tessuto sociale di non sgretolarsi: Famiglia è stare bene insieme, canta Chiappano nell’omonimo brano, perché quella che è in gioco è ancora una questione di felicità: “insieme / affronteremo tutto insieme / con questa bussola del bene / che punta dove sboccia un seme”.

Prima Che Venga La Sera, degna conclusione dell’album, per sola voce e chitarra acustica, è registrato a casa da Piero col suo smartphone, nella cameretta dei bambini, ed è il racconto vero e struggente della tragica fine di un giovane padre, travolto ed ucciso davanti ai suoi figli nell’attentato sulle Ramblas di Barcellona nel mese di agosto del 2017.

C’è un passaggio, in Come è Bella l’Italia Stasera, che sembra aprire uno spiraglio sul cuore ferito di Chiappano: “ora che in questa valigia / provo a infilarci il passato / sento il bagaglio leggero / perché forse non l’ho mai vissuto / e mi metto per strada invisibile / come facevano cento anni fa / io non voglio sentirmi invincibile / ma solo uno che ci riuscirà”. Come Bob Dylan, che nella sua immortale Like A Rolling Stone, canta di qualcuno che è invisibile e senza più segreti da nascondere, anche Chiappano sembra finalmente sereno. E come lo stesso Bob, che disse un giorno: “sono nato lontano dal luogo in cui sarei dovuto nascere, perciò sono sulla strada che porta verso casa”, anche Piero sembra aver ritrovato la sua strada. A noi, alle prese con le sue nuove e belle canzoni, viene offerta la possibilità di accompagnarlo, almeno per un tratto, facendola diventare un po’ anche nostra. Di questi tempi, non è certo poco.

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