“Se il punk servì a sbarazzarsi degli hippy, allora io con la mia musica mi sbarazzerò del grunge”. Così diceva il buon Damon Albarn, con la presunzione tipicamente british di quella generazione che riportò il pop inglese in cima agli interessi della scena musicale mondiale per un breve periodo degli anni 90. Peccato che di grunge si parli e lo si ascolti ancora oggi, nel 2018, mentre di lui e dei Blur si ricordano in pochi. Ma non importa. E’ una frase che porta con sé lo spirito del tempo, un periodo felice e di rinascita del Regno Unito, musicalmente parlando, come non accadeva dal tempo dell’esordio dei Sex Pistols (se naturalmente non si tiene conto del periodo di plastica dei Duran Duran e degli Spandau Ballet, negli 80, periodo che volentieri preferiamo non ricordare).
“Britannica, dalla scena di Manchester al Britpop (Vololibero, 326 pag., 19,50 euro) è un ottimo libro scritto da Alessio Cacciatore (giornalista musicale, già autore del libro “Woodstock 69”) e Giorgio Di Berardino (musicista e dj) che racconta appunto gli anni 90 della musica inglese, quelli in cui ci si divideva tra sostenitori degli Oasis (considerati gli Stones dell’epoca) e i Blur (che erano invece i Beatles) ma non solo. Con uno stile incalzante, ironico, preciso e approfondito i due raccontano i dettagli dei retroscena, i locali, i protagonisti (non solo musicisti, ma anche discografici, dj, proprietari di club) con tanti particolari ancora inediti dalle nostre parti. Non manca l’acuta analisi culturale e sociologica per capire a fondo il perché di certi fenomeni musicali: “Il vizio di reinventarsi è tipico della società moderna. Da sempre la chiave di tutto è la reinterpretazione della cultura dei padri in salsa moderna, cioè adattabile alla propria generazione. E’ questo quello che fecero tutte le band che uscirono allo scoperto dal 1990: ripresero ad ascoltare il pop e il beat della Swinging London” scrivono gli autori.
Come a Seattle, tutto nasce dal basso, in una scena indie vivace, per opera di discografici improvvisati spesso finiti in fallimento, in città operaie come Manchester, Liverpool ma anche Glasgow per arrivare all’agognata Londra. La traiettoria sarà la stessa di quella di ogni altro fenomeno musicale precedente: “Il percorso del genere pop-rock in Inghilterra è tortuoso: in salita fino al 1990, in fase di assestamento fino al 1994, un boom generale di due anni, seguito da un lento e inesorabile declino”.
In mezzo però tante pagine di grande musica, e non solo i soliti noti come gli Stone Roses, gli Oasis, i Blur o i Verve, ma tantissimi gruppi, una marea, magari con un solo album all’attivo: più di 150 pagine sono dedicate a schede veloci e precise di centinaia di artisti, dai Lost Sons ai Blair 1523, dai Campag Velocet ai Real People.
Un libro che mancava in Italia, per conoscere o approfondire uno degli ultimi grandi eventi musicali della storia della musica moderna.