Un festival sobrio, finalmente, dopo le tante edizioni a base di caciara, battute più o meno volgari (ogni riferimento a Luciana Littizzetto è voluto), voglia di creare finti scoop (il riferimento alle farfalle sotto alle mutandine è voluto), tempi lunghissimi, ospiti calati da Marte. Baglioni si dimostra un signore, è più il tempo che passa dietro le quinte che quello sul palco, consapevole che fare il presentatore non è il suo lavoro, ma quello che fa lo fa bene, con sobrietà appunto. Ed evita di cercare di catturare tutta la scena per sé come i suoi illustri colleghi hanno sempre fatto, pensando di essere loro le star di Sanremo. E poi il suo discorsetto introduttivo a inizio serata è davvero bello, parole che solo chi vive la musica non come un passatempo, ma come un significato per la propria esistenza può fare. Le canzoni e il loro valore, le canzoni che in pochi minuti tirano fuori il nostro cuore, colpiscono il cuore, le canzoni sono arte povera, sono mare e vento. Michelle Hunziker, nonostante tutti si divertano a massacrarla, è brava, coinvolgente e simpatica. Piace quando dopo una battuta ride di sé, non si prende mai sul serio e forse questo dà fastidio al grande pubblico. Sembra sia tutto un gioco per lei e forse è così. Unica nota negativa Pierfrancesco Favino, che qualcuno ha invece definito “mattatore della serata”: a noi è sembrato impacciato, fuori tempo, un sacco di errori quando doveva cantare, brani iniziati in modo sbagliato, insomma un disastro in diretta, meglio quando fa l’autista della Barilla.
LE CONTROPAGELLE
E le canzoni? Oggi leggendo le pagelle si vede di tutto, come il 10 (!) a Max Gazzè che a noi è sembrato stonatissimo (intonato non lo è stato mai) con una melensa ballata stile favola, incensata perché tratta dal patrimonio popolare pugliese, ma che lui ha reso una notte da zombie. Da 10 invece è stato il bravissimo Ron, e vabbè che cantava un pezzo di Lucio Dalla, uno scarto rimasto nel cassetto e se questi erano i suoi scarti si capisce perché è stato un gigante della canzone. Brano tipicamente dei suoi, dai toni jazzati, intensi, malinconici, reso perfettamente da Ron che l’ha cantato con tutto l’affetto per l’amico scomparso. Tra le cose inutili i Koloros, vestiti da Coldplay con lui, il cantante, che suona il tamburone proprio come Chris Martin: originalità zero, almeno i Coldplay scrivono belle canzoni.
Emozionante E tu cantata quasi tutta da Fiorello benissimo, con Baglioni che guarda e magari pensa: canzoni come questa a Sanremo 18 non ne sentiremo. Stupisce trovare poi nella fascia alta della classifica, quella rossa, Lo Stato Sociale. In passato avevano tirato fuori qualche carta di valore, con Una vita in vacanza hanno proposto un brano bruttissimo, scialbo, che non fa neanche ridere come era successo in passato e invece fanno i moralisti dell’ultima ora. Pessimi anche Elio e le storie tese che si autocelebrano in modo patetico, come dire: eravamo dei grandi, vi mancheremo. Ma anche no. Criticatissimi da tutti e mandati nella fascia gialla quella più bassa i tre ex Pooh, che hanno fatto solo il loro mestiere, fare i Pooh. Meglio Red Canzian di Fogli e Facchinetti, ma cosa chiedere ancora a loro? Il resto è da riascoltare con attenzione, qualche sorpresa sotto sotto c’è. Ad esempio Luca Barbarossa.